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Fisico bestiale #3 – The Dante Side of the Moon

Fisico bestiale è una rubrica in tre puntate di Tommaso Favalli sulla scienza nella Divina Commedia, qui trovate le puntate #1 e #2



Dopo aver scoperto la natura divina del π e altre mirabilia scientifiche nella Divina Commedia, per quest’ultima puntata di Fisico Bestiale restiamo in Paradiso, concentrandosi sul problema delle macchie lunari, che Dante affronta nel II canto. Il Poeta non solo espone il problema e la sua personale soluzione, ma escogita una sorta di esperimento pensato per provare razionalmente la sua tesi (auto-confutandosi nella narrazione). Sconvolge pensare al fatto che qui venga anticipato un modo di usare la ragione che sarà poi alla base del metodo scientifico: osservare la realtà, manipolarla, interrogarla e trarre delle conclusioni logiche e razionali. Si potrebbe arrivare a dire che in questo episodio Dante mette in versi un vero e proprio esperimento fisico.

La Luna è uno dei pochi oggetti celesti di cui possiamo cogliere dei dettagli a occhio nudo, e infatti fin dall’antichità erano state notate macchie scure sulla sua superficie. Sull’origine di queste macchie ci sono sempre spesi dibattiti e teorie, cercando di giustificare la loro presenza su un corpo celeste considerato appartenente a una dimensione perfetta ed eterna, e non caduca come quella terrena. Per questo Dante chiede a Beatrice:

Ma ditemi: che son li segni bui
di questo corpo, che là giuso in terra
fan di Cain favoleggiare altrui? 

(Par. II, 49-51)

Beatrice non risponde e chiede in seguito a Dante cosa lui ne pensi:

E io: “Ciò che n’appar qua sù diverso
credo che fanno i corpi rari e densi”. 

(Par. II, 59-60)

Parafrasando, Dante crede che le macchie scure sulla Luna siano zone in cui la materia è più rarefatta rispetto alle zone chiare dove la materia è più densa. Quello che farà Beatrice nel resto del canto II sarà tentare una confutazione logica di questa tesi, attraverso una sorta di esperimento scientifico. Serve un notevole sforzo per riportare questa dimostrazione senza disegni, ma se ce l’ha fatta Dante in versi, tenterò l’impresa, aiutandomi con la parafrasi delle parole di Beatrice: ”Prendiamo un modello della Luna con zone più dense e zone più rarefatte. Se le cose stanno davvero così, i casi sono due: o le zone più rarefatte attraversano tutto il corpo della Luna andando quindi di parte in parte, oppure abbiamo soltanto una zona superficiale in cui si hanno queste zone rarefatte, un po’ come il corpo umano ha delle zone più magre e delle zone più grasse”.

[…] o d’oltre in parte
fora di sua materia sì digiuno

esto pianeto, o, sì come comparte
lo grasso e ’l magro un corpo, così questo
nel suo volume cangerebbe carte. 

(Par. II, 74-78)

Abbiamo dunque due opzioni che chiameremo A e B: Beatrice sostiene di poter confutare Dante su entrambe. Nel caso A infatti, se la Luna effettivamente ha delle zone rarefatte che attraversano tutto il suo corpo, se ne dovrebbe vedere l’effetto durante l’eclissi di Sole (ovvero quando la Luna si frappone tra la Terra e il Sole): si dovrebbe notare la luce del Sole filtrare attraverso le zone meno dense della Luna. Ma questo non avviene.

Passiamo dunque al caso B, parafrasando ancora Beatrice: ”Se sulla superficie della Luna ci sono delle zone meno dense – che però sono solo superficiali – potresti pensare che esse risultino più scure perché la luce del sole quando c’è la luna piena va più in profondità, prima di essere riflessa e giungere dunque ai nostri occhi. Questo però non è vero, e te lo dimostro con un esperimento”:

Or dirai tu ch’el si dimostra tetro
ivi lo raggio più che in altre parti,
per esser lì refratto più a retro.

Da questa instanza può deliberarti
esperïenza, se già mai la provi,
ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’arti.

Tre specchi prenderai; e i due rimovi
da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,
tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.

Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
ti stea un lume che i tre specchi accenda
e torni a te da tutti ripercosso.

Ben che nel quanto tanto non si stenda
la vista più lontana, lì vedrai
come convien ch’igualmente risplenda.  

(Par. II, 91-105)

Beatrice esorta dunque Dante a fare il seguente esperimento: ”Prendi tre specchi e mettine due vicini e uno più lontano, poi accendi una candela e fai in modo di vedere la luce riflessa della candela su tutti e tre gli specchi”. Beatrice sta consigliando a Dante un procedimento metodologico tipico della scienza moderna: costruire un modello che simuli la situazione reale su cui poter manipolare la realtà per trarne conclusioni generali. I tre specchi, dove uno è più lontano, simulerebbero così le parti più dense della superficie lunare.

Facendo questo esperimento ci si accorge di un fatto sorprendente: la fiammella riflessa nello specchio più lontano è più piccola, ma non meno luminosa. Questo è un principio fisico fondamentale, oggi ampiamente dimostrato e utilizzato soprattutto in astrofisica. Beatrice ha dunque smontato la tesi di Dante; per entrambi i casi (A e B) ha trovato un esperimento che falsificasse la tesi. Non proseguo oltre nel descrivere la risposta di Beatrice; chi vuole potrà andare a leggerla. Quel che volevo mostrare è semplicemente la capacità di Dante di usare un approccio da vero e proprio fisico sperimentale tre secoli prima che Galileo formalizzasse rigorosamente il famoso metodo scientifico.

Ma dunque, perché la luna presenta delle macchie scure? La scienza propone questa risposta: la superficie lunare non è regolare a causa dei numerosi impatti di asteroidi sul suolo (la Luna non ha infatti un’atmosfera e tutti gli asteroidi, anche piccoli, vi si infrangono). Per quanto riguarda in particolare le macchie scure, si tratta di pianure basaltiche, originatesi da antiche eruzioni di materiale incandescente seguite all’impatto con asteroidi particolarmente massicci. Il basalto riflette meno la luce rispetto alla regolite, che invece è ampiamente presente nelle montagne lunari; per questo le pianure basaltiche risultano più scure ai nostri occhi.

Dante, cantore dell’aldilà, è probabilmente il poeta che meglio ha descritto il nostro mondo, Attento com’era a ogni dettaglio fisico e matematico, si è inoltrato nelle questioni irrisolte della cosmologia del suo tempo fornendo soluzioni e anticipando conclusioni, alcune delle quali si sono poi dimostrate esatte. In Dante scienza e poesia sono inseparabili, tanto che la prima fornisce basi solide e concrete che rafforzano la potenza, la bellezza e l’incisività della seconda. Leggere Dante oggi può aiutare a risanare la frattura tra sapere letterario e sapere scientifico, così da riabituarci a cogliere quanto di poetico viva dentro le leggi che, per quanto ne sappiamo, regolano il cosmo.


In copertina: macchie lunari in una foto dell’Osservatorio Astronomico Sormano. Tutti i diritti appartengono all’ente.