Guarda Virginia come siamo diventat*! – Gli Orlando di Preciado nel regno delle metamorfosi | Intersext

I. Il corpo, l’immagine

Le persone se vi piace crederlo possono essere fatte dai loro nomi. Chiamate uno qualunque Paul e diventa un Paul…

Gertrude Stein, Poesia e grammatica

Tutt* noi abbiamo un corpo, come strumento e veicolo delle nostre esistenze. Per questo motivo crediamo di sapere cosa sia il corpo, di avere il potere di immaginarlo e conoscerlo. Ma è davvero così? 

Nell’introduzione a Corpi invisibili, Antonia Caruso racconta il corpo umano come un dato di fatto: una presenza costante nel nostro discorso culturale dalle caratteristiche descrittive e prescrittive ben precise. Eppure i corpi differiscono tra loro per immagini e valori, e alcuni diventano insondabili, quasi proibiti, perché smentiscono l’idea di un corpo inteso come “fatto universale”; non a caso, la copertina del volume suggerisce che i corpi invisibili siano appunto «quelli che non vogliamo vedere».

Siamo abituat* a credere che nel corpo risieda una forma di verità narrativa della persona: la sua materialità, la sua presenza, è garante di un percorso esperienziale che comincia con la nascita. Allora forse stupisce che, quando a Paul B. Preciado è stato chiesto di realizzare un film basato sulla propria vita, il filosofo e attivista abbia scelto di realizzare un adattamento di Orlando

«Il libro tornò da me a suggerirmi che la mia vita non era iniziata il giorno della mia nascita, non era iniziata con un reperto medico, la mia vita non era iniziata con un atto amministrativo di assegnazione di genere! La mia vita era iniziata con una fiction.»1

È questa la premessa di Orlando, ma biographie politique, film del 2023 scritto e diretto da Preciado, che ha ripreso, contaminato e “mutato” il romanzo di Virginia Woolf, pubblicato nel 1928. Il libro racconta la biografia del personaggio eponimo, un poeta che viaggia attraverso i secoli transitando da identità a identità. Nell’adattamento, il regista riunisce più di 20 persone trans* dagli 8 ai 70 anni: ognuna di esse interpreta il protagonista, e nel farlo restituisce parte della vicenda dell’Orlando del libro, interpretando però la propria esistenza, compartecipando così a un processo di (auto)rappresentazione veicolata dall’esperienza di Preciado: «Io ero un Orlando, ma non l’unico. C’erano molt* Orlando»2.

Quando le luci si spengono, nella sala sembra di prendere parte a un rituale collettivo. Mescolando elementi visivi e testuali, alternandoli e sovrapponendoli, frammentandoli e riassemblandoli, il regista parte dalla falsa premessa di un documentario, fino a decostruirne l’unità realista, fino a farle prendere tratti simili a una finzione fiabesca. Un’operazione che lo accomuna proprio al progetto di Virginia Woolf, che col suo Orlando del 1928 fa col testo ciò che Preciado nel 2023 fa con la macchina da presa: disassembla le convenzioni di stile, forma e storia in modo tale da «rivoluzionare la biografia»3 rendendola essenzialmente un’opera di finzione, che si distacca dalla realtà materiale del corpo per avvicinarsi a una verità più intima e complessa, non vincolata a un dato biologico monolitico.

Nella pellicola, l’identità di genere (e non solo) non è mai un dato scontato, fisso, ma un cammino spontaneo che si compie in una pluralità di stadi, tutti fuori da ogni binarismo. A ogni attor* viene dato il nome Orlando, e questo basta affinché diventi Orlando.

Il linguaggio filmico costituisce già di per sé un mezzo di transizione, un’incarnazione transgender: attraverso il montaggio, tramite tagli e suture tra il visivo e il parlato, tra i fotogrammi, tra lo scarto che c’è tra ciò che rappresenta e ciò che intende, separando e ricollegando i generi, crea pratiche di trasfigurazione4. Il più grande potere del cinema, suggerisce Steven Shaviro, potrebbe essere proprio la sua capacità di svuotare significati e identità, di proliferare somiglianze apparentemente senza senso né origine5. Non c’è alcuna mancanza strutturale, nessuna divisione primordiale, ma una continuità tra le risposte fisiologiche e affettive dei nostri stessi corpi e le apparizioni e le sparizioni, le mutazioni e le perduranze dei corpi e delle immagini sullo schermo. La distinzione importante non è quella gerarchica tra corpi e immagini o tra il reale e le sue rappresentazioni. Si tratta piuttosto di discernere interazioni molteplici e continuamente diverse tra ciò che può essere definito indifferentemente come corpo e/o come immagine: gradi di staticità e movimento, di azione e sentimento, di disordine e vuoto, di luce e buio.

È la quest di Orlando di cui parlava Virginia Woolf. Il romanzo si conclude con uno sguardo nelle profondità di Orlando: un regno di continua metamorfosi in cui una cosa diventa un’altra, dove anche la verità può mescolarsi alla finzione. È il mondo che esiste sotto la superficie, in cui intravediamo ciò che Woolf chiama «the essence of reality»6

 «All joking aside, Orlando is a quest for that reality».

Orlando e The Oak Tree

II. Il testo, le vesti

La lingua come cosa reale non è imitazione né di suoni né di colori né di emozioni, è una ricreazione intellettuale e non c’è alcun possibile dubbio in proposito e continuerà ad essere questo finché l’umanità è qualunque cosa. Così ognuno deve restare con la lingua, la propria lingua che è arrivata ad essere parlata e scritta e che ha in sé tutta la storia della sua ricreazione intellettuale.

Gertrude Stein, Poesia e grammatica

In un recente articolo Preciado scrive: «Un testo è una strana creatura. Segno inorganico e inerte, prende vita quando entra in relazione con chi lo legge. L’opera letteraria non è co-creata dal lettore, come sostenevano Hans Robert Jauss e Umberto Eco. È un virus imprevedibile che contamina il lettore e lo fa mutare, come suggeriva William Burroughs. […] La lettura non è co-creazione. È mutazione».

Questa riflessione si inserisce in un dibattito che da tempo interessa la teoria dell’ermeneutica letteraria nella nostra cultura. Alla domanda “dove risiede il significato del testo letterario?” si è risposto in modi diversi a seconda dei tempi e dei contesti: c’è sempre una questione aperta su chi possiede l’autorità interpretativa, chi può accedere alla verità del testo letterario.

Sconfessando alcune tendenze dell’ermeneutica novecentesca, e in maniera più larga la concezione di un’opera letteraria intesa come conseguenza dell’incontro fra due istanze co-creative – quella autoriale, e quella del lettore – Preciado ragiona sulla mutazione come nuovo (anti)paradigma della lettura. In maniera simile, Woolf ragionava sul suo rovescio, e quindi sulla mutazione della scrittura, quando con il suo romanzo cambiava pelle alle forme ottocentesche del romanzo: in questo senso, Orlando è il sintomo di un avvenuto passaggio di consapevolezza nell’idea di letteratura della scrittrice, che già nel dicembre del 1910 aveva intuito che il romanzo tradizionale (che era realista, naturalista, e aveva la pretesa di rappresentare in maniera fedele e oggettiva il mondo) non corrispondesse più né alla realtà mutata del Novecento né, soprattutto, all’essere umano in quanto tale, e al modo in cui stava cambiando.  «Il carattere umano è mutato», scriveva, «si è fatto frammentario ed elusivo».

«È proprio così la vita? Devono essere proprio così i romanzi?»7

Non è un caso che Armanda Guiducci, nell’Introduzione a Mrs Dalloway, si sia soffermata sui personaggi di Virginia Woolf sottolineando come questi fossero raramente inscritti in contorni definibili, e anzi tendessero a mettere in scena una consistenza narrativa misteriosa, impossibile da spiegare in termini facilmente razionali: secondo Guiducci, Woolf puntava a esprimere simultaneamente «sia il mutamento che la continuità dell’identità individuale»8.

Anche nell’Orlando di Preciado la verità – intesa come riproduzione mediata ma precisa di una realtà fenomenica – è bandita dalla messa in scena. La scenografia, in alcuni passaggi, viene montata a vista, così come l* personagg* vengono truccat* mentre recitano; i loro costumi storici, imprecisi e approssimativi, convivono con l’abbigliamento di tutti i giorni: una gorgiera, posta al di sopra di una t-shirt stampata, è sufficiente a rendere chi recita un reale inglese, e una toga consente a Virginie Despentes di essere giudice.

Sempre Antonia Caruso definisce l’abbigliamento «la scrittura del genere». Ma questa scrittura ha rappresentato spesso e volentieri un testo ostico al quale affacciarsi, proprio perché “la verità” ha sempre rappresentato un vincolo per le persone trans*.

Le tre figure che svegliano Orlando dal suo terzo sonno al suono di: “Truth!Truth!Truth!”

Perfino la storia di Orlando è inseparabile dalla storia del suo abbigliamento: «In ogni essere umano ha luogo un’oscillazione da un sesso all’altro, e spesso sono solo gli abiti a mantenere la parvenza del maschile o del femminile, mentre sotto di essi il sesso è esattamente l’opposto di quello che è esternamente». 

Gli abiti possono rappresentare, mistificare, costringere, liberare. Rappresentano quella scrittura del genere che è sempre parziale, oscillatoria. Anche loro sono un testo mutante.

Preciado gioca col corpo e gli abiti così come fa con le identità: li rende movimenti mai definitivi, in un continuo tendere desideroso. Come osserva giustamente Ray Filar: «L’identità di genere non ha un punto finale fisso: è una vita in cui cambiano sentimenti, esperienze e atteggiamenti. Se il genere è un insieme di relazioni – con noi stessi, con gli altri, con le scatole in cui gli altri ci mettono – allora nessun adulto ha davvero lo stesso genere di quando è nato».

III. La resistenza, il transito

Non poteva più esserci la forma a decidere ogni cosa […] la vera narrazione deve necessariamente essere raccontata da chiunque sia arrivato a capire che il sostantivo deve essere sostituito non dall’equilibrio interiore ma dalla cosa in se stessa e questo porterà infine a ogni cosa. Sto lavorando a questa cosa e che cosa essa farà questo non lo so ma spero che lo saprò.

Gertrude Stein, Poesia e grammatica

Dopo essere diventato donna, nell’opera di Virginia Woolf, Orlando vive trecento anni. Una vita ricca di spostamenti e rivoluzioni (geografiche, personali, emotive). Tristemente ironico se si accosta alla retorica della vittima, della sofferenza e della morte che accompagna la rappresentazione delle persone trans* negli ultimi decenni, costantemente messe al vaglio dai governi che ne vorrebbero controllare (se non proprio abolire) l’esistenza. 

Solo negli ultimi mesi, in Italia, diverse operazioni politiche stanno minando sempre più capillarmente al nostro benessere. La scelta da parte dell’Aifa, l’Agenzia Italiana del Farmaco, di declassare il farmaco Sandrena, il più diffuso per la terapia ormonale sostitutiva con effetti femminilizzanti, dalla classe di rimborsabilità A a quella C, non può non essere letta come strategia di invisibilizzazione. Il farmaco, una volta gratuito grazie al Servizio Sanitario Nazionale , ora sarà a carico del paziente. Il prezzo di ogni scatola è aumentato più del 100% e rimarrà dispensabile a carico del Ssn solo sotto piano terapeutico: privilegio che non tutte le persone trans* possono permettersi. Sempre recentemente il Ministro della salute Orazio Schillaci ha ordinato, dopo un’interrogazione parlamentare di Maurizio Gasparri, un’ispezione all’ospedale Careggi di Firenze riguardante l’uso del farmaco triptorelina (un bloccante della pubertà) nei percorsi di affermazione di genere relativi a bambin*. Careggi a oggi è considerato uno dei migliori centri pubblici in materia di percorsi di affermazione di genere. Di nuovo il Ministro Schillaci, questa volta insieme al Ministro Rocella, nomineranno un tavolo tecnico di “esperti” per redigere delle linee guida per l’utilizzo dei bloccanti della pubertà.

Questa volontà di controllo, di accentramento del biopotere nelle mani di persone cisgender, altro non è che il tentativo di normalizzare l’espressione delle identità trans*; un altro modo per assicurarsi di poter dettare legge su ciò che di quei corpi si può considerare “vero”.

In quella sala cinematografica a luci spente, l’opera preciadiana celebra le infanzie trans*, attraverso la costruzione di una narrazione alternativa in cui la verità normativa non esiste se non nelle singole esperienze dei corpi “visibili” sullo schermo (e in sala).

Orlando, Orlando e Orlando nella sala tecnica

Gli Orlando di Preciado non sono immuni alle nostre difficoltà. Anche loro affrontano percorsi patologizzanti, che li vogliono pazienti psichiatrici, costretti all’interno di rigidi sistemi binari. Anche loro, come noi, vanno incontro alla burocrazia e alle battaglie legali per avere documenti coerenti con le proprie identità. Ma il film apre uno spiraglio: queste sono battaglie che vanno affrontate in comunità, col supporto e l’euforia che siamo in grado di darci a vicenda. Col nostro sguardo col quale sempre ci riconosciamo e celebriamo in tutte le complesse, contraddittorie e mutevoli sfaccettature identitarie.

Nel film, la sala d’attesa psichiatrica, luogo patologizzante, si tramuta in un luogo di resistenza e di festa, dove i membri di una comunità sono disposti a prendersi cura gli uni degli altri: la scena che illustra i colloqui mortificanti ai quali si devono sottoporre le persone trans* per accedere alla medicalizzazione d’improvviso sbanda divenendo un musical che celebra l’assunzione di ormoni. 

Orlando, Orlando, Orlando e Orlando nella sala d’attesa

Il volto di Preciado, nella sala del cinema, ci osserva e ci dice «voi qui siete come un Parlamento. Avete il potere di un Parlamento». Anche questo è un luogo di resistenza e mutamento, è l’opera a cui stiamo per assistere che crea un processo infinito di contaminazione. In quella sala i corpi che guardano sono anche i corpi che vengono guardati. E quando al regista viene chiesto quale sia il modo migliore per reagire a tutto questo, lui risponde che dobbiamo mantenere saldo il desiderio del cambiamento, di non lasciare che le politiche neoliberali lo cancellino. «The world is transitioning». È una conseguenza: quanto più è forte la rivoluzione, tanto più è forte la spinta reazionaria. Ma questo vuol dire che la rivoluzione sta avvenendo, è l’indizio che stavamo cercando. E quando termina il suo intervento, prima che il film parta, prima che in quella sala vengano celebrate le singole e collettive esistenze trans* attraverso la storia di un capolavoro inglese immortale, Paul B. Preciado ci ricorda questo: anche se le persone sono destinate a morire, i loro Orlando rimarranno.

Il primo sonno di Orlando

  1. Dall’intervista a Paul B. Preciado su Gay.it: https://www.gay.it/paul-b-preciado-intervista-orlando-la-mia-biografia-politica
    ↩︎
  2. Parole che Preciado pronuncia in collegamento durante la presentazione del film al cinema Arsenale il 28 marzo a Pisa, una proiezione curata da Pinkriot e Arcigay Pisa. ↩︎
  3. Elizabeth Cooley, Revolutionizing Biography: “Orlando”, “Roger Fry”, and the Tradition
    in South Atlantic Review , May, 1990, Vol. 55, No. 2 (May, 1990), pp. 71-83.
    ↩︎
  4. Eliza Steinbock, Shimmering Images. Trans Cinema, Embodiment, and the Aesthetics of Change, Duke University Press, 2019.
    ↩︎
  5. Steven Shaviro, The cinematic body, University of Minnesota Press, 1993.
    ↩︎
  6.  Maria Di Battista, “Introduction” in Virginia, Woolf, Orlando: a biography, HMH Books, Boston, 2006. ↩︎
  7.  Virginia Woolf, Mr. Bennett and Mrs. Brown, Hogarth Press, 1924.
    ↩︎
  8. Armanda Guidacci, Il percorso creativo di Virginia Woolf, Introduzione a Virginia Woolf, La signora Dalloway, Grandi Tascabili Newton, Roma, 1992.

    ↩︎