Tre cose di diversa lunghezza ma non importanza sull’editoria in Italia | Bədroom #0

Con l’associazione di promozione sociale (qui tutte le info), lanciamo anche una newsletter dal titolo Bədroom: per ciò che ci passa per la mente poco prima di addormentarci, quel flusso disorganizzato, e poi per come chiamava Bertolucci il suo poema, appunto La camera da letto. Ad apparizione causale, verrà scritta sia dai redattori di lay0ut, sia dai soci. L’obiettivo è creare una “permeabilità” dello schermo che divide chi produce e chi consuma. Ci sembra un buon modo per dishackerarci, o hackerarci da noi. Per iscriversi alla newsletter, scorri il pezzo: in fondo troverai un form.
Questa prima puntata l’ha scritta Demetrio Marra.


Pagatemi o io i libri li scarico

A novembre 2022 i gestori di Z-Library, due cittadinə russi veri eroi del contemporaneo, sono stati arrestati in Argentina, a quanto pare su richiesta degli Stati Uniti veri nemici del contemporaneo. È risaputo che i maggiori frequentatori del sito siamo noi, gli aspiranti lavoratori editoriali (o lavoratori culturali tout court). Sorpresi? Macché: l’editoria è uno dei settori dell’industria italiana dove si paga peggio e si sfrutta di più, dove si ripete continuamente l’amen turbocapitalista (non ottativo) “è sempre stato così”, dove dobbiamo renderci disponibili in qualsiasi momento altrimenti non assumeremmo il giusto quantitativo di Vitamina D, dove lavorare in fiera per dieci ore di fila con pausa sgabellare e toast al prosciutto fa parte dell’esperienza e dove la birra offerta a fine giornata è un ricatto morale. Cosa dobbiamo fare, con gli stipendietti, i rimborsetti, le prestazionette occasionali? Comprarci il latte di cocco, non sicuramente le novità in libreria. Per questo Z-Library ci salvava, perché potevamo tornare a casa, aprire il l’ereader che Babbo Natale ci aveva concesso (o più verosimilmente il cellulare) e rimanere aggiornati su tutto ciò che non succede nel mercato. Leggere Sally Rooney e arrabbiarci (perché si deve far così), gustarsi bell hooks e poi scrivere un post su quanto Da che parte stiamo. La classe conta (pubblicato da Tamu) mancasse. Ma diciamocelo: non è neanche del tutto vero che non compriamo. Rimaniamo noi i “lettori forti” – sintagma liberalwasher per “compratori compulsivi” (forte è Goku, nessun altro) -, coloro che annusano la brossura in filo refe come si trattasse di piccole labbra e passano ore, in casa, a scegliere tra ordine alfabetico per editore o per autore per le proprie librerie Billy. C’è chi dice che per convincere l’Azienda a cambiare politica bisogna mostrargli la convenienza economica di quel cambiamento. Ebbene: in cosa credete spenderemo i soldi? In macha latte? Quelli siete voi, non siamo lə stessə. 

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(che ci crediate o meno, è ancora in piedi, nonostante tutto. Sia su Telegram, sia come app, sia in tanti altri modi. La vicenda, ormai leggendaria, della chiusura di Megavideo – che ha portato alla nascita, come un’Idra, di centinaia di altri siti di streaming – insegna).

Tre cose che hanno rotto il cazzo, per dar senso alla struttura

Rampini (non ho nulla da aggiungere), la Scuola Holden (si scherza, vvb, ma non c’è giustificazione che tenga per questo meme), e i restyling della Einaudi (ogni tanto abbiamo bisogno di certezze).

Presentare è morire un poco

Le presentazioni di libri in Italia sono diventate uno strazio. Lezioni frontali con spesso due, tre, persino quattro presentatorə come se fossero, invece, portatorə di bare (o due, tre, quattro scrittorə come corpi appena sdraiati sul campo da battaglia, col libretto stretto sul cuore, spiegazzato). E in effetti è quasi una veglia funebre, tutta sospesa, in prosa o in poesia, tra il dir poco e il dir troppo: “La sua sapienza nel descrivere i cachi mela…”, “Uno scrittore d’altri tempi…”; quante volte reazionaria: “I suoi modelli non sono Pascoli e Montale, ma Adeo di Macedonia…”; “la musicalità, poi… la musicalità degli endecasillabi, mettete una virgola tra soggetto e verbo e vedete come sono endecasillabi, vi sfido!”. Così che l’autorə non può che confermare: “eh, certo, come no”, con la poca voce rimasta, mentre prova a leggere, se glielo permettono.
Per fortuna ci sono l’autorə che sanno tenere il palco. Continuiamo ad andarci proprio perché in noi c’è un po’ la fede di chi va a messa un’ultima volta, speranzoso che l’omelia l’illumini (accontentandosi del sapore cartonato dell’ostia); oppure di chi va allo stadio sperando di assistere, almeno una volta, tra la noia e la morte, al genio. Ma accade mai, perché il genio non esiste (del genio, diceva qualcuno, non ho la mancanza di talento).

Le presentazioni frontali sono l’eredità puzzolente delle lezioni frontali, che finalmente a scuola stanno scomparendo. E se a scuola, notoriamente conservatrice (almeno per lo sbilanciamento anagrafico del personale docente), sta lasciando il posto alla lezione partecipata, al dibattito, agli strumenti interattivi, eccetera, perché mai dovremmo ancora sorbirci il leggìo col microfono, dal momento che “Io seduto non posso leggere, scusatemi”? E perché non si dovrebbero fare presentazioni-guerriglia, con la carica (e la lettura, e la critica) che parte dal pubblico? Nulla parte mai dal pubblico e nulla finisce, nel. Perché lì, col faretto di Dio che lo acceca, c’è l’autorə.
Il pubblico però ha le sue colpe (oltre la sacralizzazione dell’autorə), ed è interamente o quasi, ormai, “del settore”, con virgolette. Inattento, tra l’altro, finché non può alzare il ditino e dire, sogghignando: “Beh, ma Fortini diceva…”.

Smettiamola e cominciamo a pensare alle presentazioni come al momento centrale dell’editoria, perché il Testo serve condividerlo. Studiamo nuove forme, o, se proprio non abbiamo voglia, ricicliamo gli studi già fatti in ambito didattico (La Ricerca fa un buonissimo lavoro, per tante ragioni, in cartaceo e online, ma non è la sola). E ogni tanto offriamo un bicchiere di birra. Vedrete che si venderanno anche più libri.