Non raviolabile #3 – Verso l’alto, non verso nord: Flatlandia di Abbott


Camminando in riva 
al Reno so che
verso il Nord agognato
io farò rotta foss'anche
più freddo del ghiaccio
nelle secanti
della geometria

Winfried Georg Sebald
da Poesia per un album in Moment musicaux

Il compasso: tanto antico, quanto oscuro ai più nel suo specifico utilizzo e nelle sue molteplici applicazioni. Come strumento da disegno, lo ricordo ancora con una certa apprensione. Ho sempre colto una sorta di sua latente, micidiale potenzialità che, più di una volta, mi ha fatto fantasticare sulla sua efficacia come arma bianca. Ma questa declinazione ostile era sicuramente dovuta alla mia adolescenziale tendenza omicidiaria nei confronti di chiunque tentasse di ammannirmi la matematica negli anni liceali. Sarebbe andata diversamente se avessi avuto come docente un certo qual professor Edwin Abbott Abbott, che anche solo per il doppio cognome ispira già fiducia e evoca l’immagine di un rubizzo settantenne dalle tempie brizzolate e dalla sconfinata pazienza.

Purtroppo Abbott non è entrato nella mia vita quando ne avrei avuto più bisogno, lasciandomi ai miei incubi da scrutinio chiamati Eulero, Gauss ed Euclide, che in coincidenza con no so quali circostanze bizzarre – probabilmente gastro-astronomiche – riaffiorano ancora oggi con una certa prepotenza onirica di tanto in tanto. Insomma, all’epoca a ridosso della maggiore età, mi meritavo senza riserve la parafrasi dell’adagio evangelico cammellesco, che il prof, disperatamente, mi ripeteva: «è più facile che due rette parallele s’incontrino, che tu entri nel regno di Euclide».

Sono trascorsi tanti anni da quei delicati 2 ricamati in rosso sui fogli protocollo a quadretti e sottolineati con un bel paio di brevi parallele (appunto), tanti che avevo ormai deposto da tempo le armi (e l’ultimo baluardo del compasso professionale), pensando di dovermi arrendere all’impenetrabilità di certe materie, che pur mi hanno segretamente sempre affascinato, come una religione misterica pronta a schiudere segreti illuminanti ai suoi meritevoli adepti.

Eppure, proprio come una folgorazione che improvvisamente apre un nuovo regno dello spirito anche alle cervici più dure e recalcitranti, si è manifestato un evento che ha portato le due rette parallele della geometria e del mio comprendonio a trovare finalmente il modo di incrociarsi.  Un evento – naturalmente – in forma di libro, opera del mio mancato professore, che in questo modo apriva le porte del regno delle forme anche ai meno meritevoli: Flatlandia: racconto fantastico a più dimensioni.

Il suo autore, Edwin Abbott Abbott, visse tra il 1838 e il 1926, e fu scrittore, teologo e pedagogo britannico. La società vittoriana quindi, coi suoi cliché stantii e i suoi pattern polverosi, ha fatto da sfondo alla vita del professore. In questo senso, Flatlandia è anche un vero e proprio pamphlet che si scaglia in modo caustico contro la società del suo tempo:

Sbigottito alla vista dei misteri della terra così rivelati al mio occhio, dissi al mio compagno: «Guarda, sono diventato come un Dio: perché i saggi al nostro paese dicono che la visione di tutte le cose o, come essi si esprimono, l’onniveggenza, è attribuito a Dio solo». C’era un po’ di scherno nella voce del mio Maestro quando rispose: «Davvero? Allora anche i borsaioli e gli assassini del mio paese dovrebbero essere venerati come Dei dai vostri saggi: perché non ce n’è uno che non veda quel che tu vedi. Ma dai retta a me, i vostri saggi si sbagliano».

Flatlandia viene pubblicato nel 1884 e non si può ricondurre né al genere fantascientifico, né al fantasy, ma nemmeno al manuale pseudoscientifico o matematico. Non è un romanzo, non è un poema. Ha a che fare con tutto ciò, in parte e in modo anche armonico. Ha a che fare con la matematica.

Ma con Flatlandia non ci troviamo tra le mani il solito manuale di matematica per dilettanti (gli abolizionisti, sarebbe meglio dire) o un maldestro tentativo di camuffare formule e dimostrazioni spacciandole per allegre storielle, ma un vero e proprio pezzo unico, che va dal romanzo avvincente e avventuroso – come vuole la miglior tradizione della narrativa fantastica – al trattato di geometria piana e solida (col vantaggio dell’accessibilità) senza trascurare l’aspetto allegorico e fortemente satirico che presenta: difficile quindi collocarlo in un genere specifico, perché Flatlandia è un mondo a sé, con molteplici possibili chiavi e piani (appunto!) di lettura, che lo rendono trasversale anche nella fruibilità da parte di un pubblico di lettori molto variegato. Forse è il libro che, tra tutti quelli che ci hanno provato, ha offerto ad oggi l’approccio più originale all’ idea di un mondo pluridimensionale.

Chiamo il nostro mondo Flatlandia, non perché sia così che lo chiamiamo noi, ma per renderne più chiara la natura a voi, o Lettori beati, che avete la fortuna di abitare nello Spazio. Immaginate un vasto foglio di carta su cui delle Linee Rette, dei Triangoli, dei Quadrati, dei Pentagoni, degli Esagoni e altre Figure geometriche, invece di restar ferme al loro posto, si muovano qua e là, liberamente, sulla superficie o dentro di essa, ma senza potersene sollevare e senza potervisi immergere, come delle ombre, insomma – consistenti, però, e dai contorni luminosi. Così facendo avrete un’idea abbastanza corretta del mio paese e dei miei compatrioti. Ahimè, ancora qualche anno fa avrei detto: «del mio universo», ma ora la mia mente si è aperta a una più alta visione delle cose.

Chi ci sta narrando la Flatlandia è uno dei suoi abitanti, più precisamente un Quadrato. Perché gli abitanti del mondo bidimensionale della Flatlandia sono esattamente figure geometriche:

E che tipo di rapporti hanno tra loro gli abitanti geometrici della Flatlandia? Poco edificante, potremmo dire. Perché l’ordine gerarchico della Flatlandia è molto stretto e solo a costo di durissimi sacrifici e nel corso di lunghe generazioni si può pensare di evolvere ad un rango superiore. C’è chi ci prova ricorrendo addirittura alla chirurgia plastica, con risultati per lo più catastrofici. Più ampi sono gli angoli della propria figura, maggiore sarà l’acume che viene attribuito alla propria intelligenza. E, parallelamente, più si sale nella scala sociale, maggiore è il numero di lati che compongono le figure.

Alla base di questa catena gerarchica, Abbott in modo alquanto provocatorio pone la donna, un semplice segmento monodimensionale. Ma questo non accade per misoginia, come si può sospettare: ancora una volta si tratta di un messaggio provocatorio alla vecchia Inghilterra e al suo polveroso mondo statico e carico di preconcetti, molti dei quali proprio riservati al mondo femminile.

Una Donna è un ago, essendo, per così dire, tutta punta, almeno alle due estremità. Si aggiunga a ciò la sua facoltà di rendersi praticamente invisibile quando vuole, e vi renderete conto che in Flatlandia una Femmina è una creatura con cui c’è assai poco da scherzare.

La borghesia è formata dagli equilateri e gli esagoni sono invece l’aristocrazia. Al vertice della gerarchia, sta l’ordine sacerdotale: la forma è quella della circonferenza, ad indicare l’insuperabile livello di saggezza ed acume, da cui viene il potere più alto. La rigidità delle classi sociali (allegoria di una società vittoriana cristallizzata e anacronistica) secondo quest’ordine geometrico opera come un sistema di controllo sociale nel mondo di Flatlandia. Per questo motivo, sono soffocati in modo reciso tutti i tentativi – più o meno imponenti – di sovvertire questa struttura gerarchica, così com’è visto con sospetto ed emarginato, se non annientato, chi non si collochi nel regolare mondo delle categorie prestabilite:

La tolleranza dell’Irregolarità è incompatibile con la sicurezza dello Stato. Non ci sono dubbi che la vita di un Irregolare sia una vita grama; ma che sia così lo richiedono gli interessi della maggioranza. Che ne sarebbe delle arti della vita se si permettesse a un uomo con un davanti triangolare e un didietro poligonale di esistere e di propagare una discendenza ancor più Irregolare? Si dovranno forse alterare tutte le case, le porte e le chiese di Flatlandia per far luogo a tali mostri?

E in Flatlandia gli abitanti hanno un loro modo tutto speciale di vivere, di comunicare, di riconoscersi, di spostarsi. Ma perché il narratore, il signor Quadrato, ci sta raccontando la storia di Flatlandia, che in apparenza sembra una società ideale, dove l’ordine è mantenuto, non si verificano accadimenti inconsueti e le classi, nella loro fissità, garantiscono il controllo dell’entropia del sistema? Perché il nostro eroe, l’io narrante, ha avuto il privilegio, la curiosità e il coraggio di spingersi un po’ più in là, di uscire fuori dagli schemi e di scoprire l’esistenza di altri mondi, oltre quello a due dimensioni.

Com’è potuto accadere e quali ne sono state le conseguenze? Per il Quadrato tutto cambia il giorno in cui nel mondo piatto di Flatlandia si affaccia un altro bizzarro personaggio, questa volta non più a due dimensioni, bensì a tre: la Sfera. Lo stupore, il timore, le resistenze del Quadrato alla vista di una tale “mostruosità”, che entra a sconvolgere le sue certezze e l’ordine preconfezionato e inamovibile del suo mondo sono quasi intollerabili, in un primo momento. Ma il signor Quadrato non può che arrendersi all’evidenza: la Sfera esiste ed è…sferica! La Sfera accompagna quindi il Quadrato nel mondo unidimensionale, la Linelandia:

Così come in quello tridimensionale, la Spacelandia, facendo prendere coscienza al nostro protagonista della possibilità di vedere le cose da più prospettive. L’illuminazione è totale: il Quadrato prende coscienza del fatto che la Flatlandia non è l’unica delle realtà possibili, così come Abbott lascia aperta la strada all’idea che possano esserci ulteriori mondi dimensionali, oltre a quello a tre, tema attualissimo e molto dibattuto dai grandi nomi della fisica e della matematica dei nostri tempi:

In Una Dimensione, un Punto in movimento non generava una Linea con due Punti terminali? «In Due Dimensioni, una Linea in movimento non generava un Quadrato con quattro Punti terminali? In Tre Dimensioni, un Quadrato in movimento non generava – e questo mio occhio non l’ha forse contemplato – quell’Essere benedetto, un Cubo, con otto Punti terminali? E in Quattro Dimensioni, un Cubo in movimento non darà origine – ahimè per l’Analogia e ahimè per il Progresso della Verità se così non fosse! – non darà origine, dicevo, il movimento di un Cubo divino, a un Organismo più divino con sedici Punti terminali? Osservate la conferma infallibile della serie, 2, 4, 8, 16: non è una Progressione Geometrica, questa?

Forse anche per questo Abbott è visto da molti come precursore della teoria stessa della relatività, il che non è poca cosa (pensiamo a Thoughtlandia…). E che fine fa il Quadrato? Bene: pensate a qualcuno che sente di aver fatto una scoperta rivoluzionaria, che cambierà la vita dei suoi simili per sempre: un sapere che aprirà le menti di tutti, con tutte le possibili implicazioni del caso, che costringerà a rivedere il proprio ruolo nell’universo, che porterà ad assumere una nuova forma di comunicazione, che farà acquisire valori inediti e prima inimmaginabili. Non so chi vi sia venuto in mente, ma ce n’è stato più di uno che si è trovato in questa situazione. E non è finita quasi mai bene, per lui.

Non è difficile, infatti, immaginare o anche semplicemente ricordare il destino di questi visionari. E non perché non ci siano prove a sostegno della nuova verità da rivelare, né per difficoltà nel trovare un linguaggio adeguato. Piuttosto per via della dirompenza degli effetti, della perdita di certezze e di privilegi, ma anche, se non soprattutto, perché una rivoluzione, un’illuminazione giocoforza comporta la necessità di rinunciare alle proprie, spesso confortevoli, catene. Quadrato viene presto assicurato alla giustizia e finisce in prigione, ma non perde la speranza. Non può, non deve:

Lassù nella Spacelandia, Prometeo fu incatenato per aver portato il fuoco ai mortali, ma io – povero Prometeo della Flatlandia – giaccio qui, in carcere, per non aver portato niente ai miei compatrioti. Eppure continuo a esistere nella speranza che queste mie memorie, in qualche modo, non so come, possano trovare una strada per giungere alla mente dell’umanità di qualche Dimensione, e possano suscitare una razza di ribelli che si rifiutino di essere confinati in una Dimensionalità limitata.

Per chiudere, dopo i paragoni eccellenti permettetemi un credito importante: Flatlandia ha il grande merito di aver ridato giustizia a quel compasso incastonato nel velluto rosso dell’astuccio, con tutte quelle viti e quegli aggeggini che si disperdevano nello zaino, tra il vocabolario e i libri, tornando a casa da scuola. Non che quell’antico strumento abbia perso anche la possibile funzione di arma letale, all’occorrenza. Non sia mai.


In copertina: Eser Gündüz, Visitors (2020)

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