Intro: ‘Olanda, 1945. Anne Frank e i Neutral Milk Hotel’ di Massimo Palma

Massimo Palma – nostro collaboratore – ha appena pubblicato per la casa editrice Nottetempo Olanda, 1945. Anne Frank e i Neutral Milk Hotel. Vista la natura interdisciplinare e creativa del saggio – che mescola indagine musicologica e memoria politica – abbiamo voluto pubblicarne l’introduzione.


I Neutral Milk Hotel volevano essere un gruppo irricordabile. Invisibili in vita se non sui palchi di piccoli locali per squattrinati, impossibili da tenere a mente per il nome strano. Fotografati poco e male, su rare fanzine di un giro davvero troppo stretto per chiamarlo di successo. Neanche d’élite, ma proprio di nicchia. I Neutral Milk Hotel erano una band destinata all’oblio, e determinata a caderci. Un gruppo di ragazzi dai modi eccentrici, di una sincerità disarmante. Alle feste e nei live urlavano o bisbigliavano sogni di cui vergognarsi, ridere e forse angosciarsi. Come se i concerti fossero una riunione carnevalesca di peccatori, una confessione pubblica ma a posti limitati. Erano abituati a stare tra simili, coltivavano una sorta di analogia di gruppo, una somiglianza ristretta. Erano a proprio agio nella setta, non nella chiesa. Non lasciare traccia se non il suono – nel 1998, quando tutto iniziò e tutto finì, sembrava fatta.

Ma qualcosa non ha funzionato. A pochi anni da uno scioglimento reale seppur mai annunciato, dal brusco arresto delle esibizioni e di ogni attività insieme, mentre il loro cantante pubblicava dischi di canzoni bulgare a tirature minime, la loro musica ha cominciato a circolare su piattaforme molto più ampie della distribuzione musicale fisica, concreta degli anni Novanta. L’avvento di internet, della condivisione degli mp3, ha creato un’onda imprevista. Senza volerlo affatto, i Neutral Milk Hotel sono usciti dal loro quasi anonimato, dal loro segreto per pochi eletti. In particolare il secondo album, In the Aeroplane over the Sea, con le sue melodie struggenti e i suoi fiati e le dichiarazionisconfinate – “l’unica ragazza che io abbia mai amato”, “ti amoGesù Cristo” –, è diventato noto ben oltre la loro cerchia. Daquesta notorietà è sorto un effetto ulteriore. Nei mesi, e poi neglianni, i Neutral sono diventati uno dei punti di riferimento diquelle ambigue figure sociali che hanno assunto il nome anticodi hipster. Che hanno preso a vantarsi di averli scoperti e recuperati, di aver provato un entusiasmo raro e forse unico ad ascoltare le strofe di Mangum, le fisarmoniche di Koster e le trombe di Spillane. Per tutta risposta altra gente ha preso a odiare chi parlava dei Neutral Milk Hotel sillabando lento il nome assurdo, chi imparava gli accordi di Oh Comely, chi intonava forte “What a beautiful face” ignorando di chi fosse quel volto (era di Anne Frank), o condivideva quella bizzarra copertina con una ragazza seduta su un molo e un tamburello al posto della faccia. Alcuni hanno iniziato a detestare quella musica. Al culto è seguito l’anticulto, sono cominciati i meme ossessivi della cover su ogni sito, ogni chat. In the Aeroplane over the Sea cresceva, non smetteva più, trovava sempre nuovi amanti e odiatori, immersioni a fondo nei suoi versi e altrettante prese in giro. Il coro dichiarava che era un capolavoro indie, qualsiasi cosa “indie” volesse dire. L’antifona ridacchiava alle spalle. Di certo, il nome dei Neutral Milk Hotel veniva associato ad atmosfere anticonformiste eppure cool che con loro non avevano nulla in comune.

L’eco di In the Aeroplane over the Sea si espande ancora oggi, ben oltre la deriva hipster della sua seconda ricezione. Cresce per via del suo oggetto-spettro. Perché il disco parla all’ombra di Anne Frank, della vittima della Shoah più mediatizzata, in modo mai sentito prima. Cosa accade nell’Aeroplano? Che degli outsider della società americana – ragazzi che campano di lavoretti e suonano assieme, che organizzano una specie di comune fuori tempo massimo, fuori dal mercato, da ogni ascensore sociale –, dei giovani che si sono appena ritagliati un minimo ruolo e un pubblico trovano in Anne Frank un modo per parlare di se stessi. Anne Frank diventa il tramite attraverso cui fare musica nella periferia americana dei Novanta. Il medium per narrare la vita materiale di comunità ai margini. È un medium improprio.

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Scegliere la storia più terribile del Novecento per raccontare il quotidiano di esistenze dette male, modellare su uno dei simboli della Shoah i mostri che appaiono sui rettilinei sterminati tra il Colorado e la Georgia, nel sudore e nei fumi delle feste studentesche; disporre infinite coincidenze su un piano unico in cui i tempi si mischiano, i miti si giustappongono – tutto questo è una scelta davvero impropria, ma riuscita. Che nell’Aeroplano va a comporre un pieno di memoria, un’arena di lotte tra ricordi che si accendono. L’Aeroplano testimonia la paura del vuoto di un giovane, l’autore di brani e testi – Jeff Mangum –, che sa di non avere spazi d’azione se non tra suoni e sogni. E allora sogna e suona insieme. Non ha un programma, non ha intenzioni precise, né conoscenze. Non c’è filologia né uso di archivi (e neppure di Wikipedia, che doveva ancora nascere), ma una rete inopportuna e ricca di telepatie sinistre, di marionette ventriloque, di metamorfosi inquietanti. L’Aeroplano non interpreta, ma trasfigura Anne Frank, la trasforma in immagini potenti e popolari. Non ne racconta, ancora una volta, la storia, ma la ricolloca in un corpo nuovo. Non la fa rivivere, ma dialoga col fantasma.

In queste pagine racconto il mondo di spettri che abitano In the Aeroplane over the Sea e accanto ai testi del disco faccio uso del Diario di Anne Frank, ma anche dei libri di Primo Levi, dell’alter ego di Philip Roth che incontra Anne rediviva, o ancora dei racconti di Kafka e dei saggi di Sebald. Lo faccio perché nel disco – senza volerlo, lì agisce proprio l’involontario – emergono temi, motivi, o ancora spettri di motivi che arrivano da lontano, da tanti modi di raccontare o persino anticipare quel che è stata la Shoah. Prodotto lì dove è remotissima l’eco dell’Olanda, dell’Europa dei primi anni Quaranta, In the Aeroplane over the Sea replica in una lingua musicale paesaggi emotivi e scritture che hanno cercato di dire il suono della persecuzione e quello dei perseguitati. L’Aeroplano non sa e non intende fare eco, ma rielaborare, e confonde tutto con la gioia e l’angoscia sonora che trasmette, con la sensibilità di quattro ragazzi finiti fuori dal sogno americano.

Ma Anne Frank non è solo una scusa per dire una storia di oggi, Anne Frank che è vittima e non agisce mai, o meglio agisce scrivendo. Nell’Aeroplano è ancora riscritta, ancora ripetuta – e ritorna. Attraverso il suo nome, reinventandola come corpo e come spettro, i Neutral Milk Hotel parlano di esclusione sociale e di stigmi, di traumi in famiglia e nella storia, di violenza subita e non restituita, di parcheggi vuoti risonanti di rumori e grida. E di stanze chiuse e corpi umidi. Parlano pure del tempo che non c’è più o non ha uscita, che negli anni Novanta è deformato sotto il peso di un unico mondo in cui stare senza immaginare. Parlano dei fantasmi che lo attraversano.

L’Olanda, il 1945 sono lo spazio e il tempo scelti per questa traversata. A compierla, traccia dopo traccia, in un disordine e un rumore senza uguali, è un gruppo americano che aveva pensato a un nome che nessuno mai avrebbe ricordato, e un autore, Jeff Mangum, che nelle sue parole dà forma a fantasmi e ossessioni di un secolo, in una matassa intricata di riferimenti mai voluti, di rimandi sotterranei e inconsapevoli. Nell’immagine riflessa nel suo specchio appare lo spettro di Anne Frank, l’unica ragazza che ha mai amato.

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Massimo Palma ha pubblicato Berlino Zoo Station (Cooper 2012), Happy Diaz (2015, Castelvecchi 2021), Nico e le maree (Castelvecchi 2019). Con Movimento e stasi (Industria & Letteratura 2021) ha vinto il Premio Fortini per la poesia. 

Ha scritto i saggi I tuoi occhi come pietre. Trauma e memoria in W.G. Sebald, Paul Celan, Charlotte Salomon e Foto di gruppo con servo e signore (Castelvecchi 2020 e 2017). Ha curato opere di Max Weber (Economia e società, Donzelli 2003-2018), Walter Benjamin (Senza scopo finaleEsperienza e povertà, Castelvecchi 2017 e 2018), Georges Bataille (Piccole ricapitolazioni comiche, Aragno 2015), Georg Heym (Umbra vitae, Castelvecchi 2020), Fredric Jameson (Dossier Benjamin, Treccani 2022).