Note senza testo – Sulla fotografia di Ruby Rossini

È stata la caccia agli anonimi. Il soggetto dai più viene trascurato, rimane indigesto, forse miserabile. Se disposto all’angolo della stanza o sopra una mensola ingombra di chincaglierie non è mai il prescelto. 

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Courtesy Ruby Rossini

Ma, contro ogni probabilità, viene isolato, depositato sotto i riflettori dell’occhio, diventa poi il fuoco dell’immagine. Ruby Rossini ha la priorità di risvegliare i tratti inosservati o disattesi dello sguardo, in stato di veglia. Ne mette in risalto le componenti irrisorie per guardarle da un’altra angolazione. 

Uno zoom intercettato nel mirino e poi esasperato. L’occhio nudo lo recepisce come una forzatura equilibrata: miele colato su un limone giallo scuolabus. La composizione è invitante, commestibile, la puoi digerire, per svuotarne l’intestino. Ruby Rossini divorzia dai soggetti conclamati e sceglie l’estetica dei marginalia. Contenuti in una narrativa grafica, di cui si prende cura delle forme geometriche, delle combinazioni, abili a tal punto da creare la direzione senza difetti dello sguardo. Sarebbe potuta essere Patrick Bateman, in American Psycho, quando traccia con la motosega la traiettoria da seguire prima di infliggere il colpo e centrare in pieno il corpo da sacrificare per la sua incolumità. 

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American Psycho, 2000

Ha sempre un po’ di sinistro la simmetria mista all’impeto irrigidito delle proporzioni. Ruby Rossini è perfettamente calibrata, crea con il righello e bilancia i materiali e le cromie, con discrezione. È incarico e condanna della grafica, intesa come disciplina scientifica, regolamentata dalle misure che lo sguardo umano si aspetta di trovare. Rossini contiene la profondità livida e la natura sottomessa, ma protesa a una direzione, degli appunti a bordo pagina. Corre per imprimere una riflessione urgente, riempiendo in senso verticale le pagine imprigionate in una griglia pre-impostata. Con le parole di Bobi Bazlen, da Note senza testo (R.Bazlen, Scritti, Adelphi, 2019, p.203):

Io credo che non si possa più scrivere libri. 
Perciò non scrivo libri –
Quasi tutti i libri sono note a piè di pagina gonfiate in volumi (volumina). 
Io scrivo solo note a piè di pagina.

Courtesy Ruby Rossini

Bobi sottrae la struttura portante, il macro, l’epicentro e lascia spazio ad asserzioni, enunciati che funzionano come recisioni, nette; applicando alla sua prosa un atto di separazioni minime, tanti piccoli addii tra coordinate e subordinate. Note senza testo, ma anche Dal Quaderno B, Dal Quaderno D de Il capitano di lungo corso sono raccolte sminuzzate, appuntite e risolute di parole e frasi che si presentano in una forma disorganica, lontani dalla compattezza cui siamo soliti guardare a un libro.

Bobi fa una scelta precisa: sceglie quello che circonda il testo; lo circumnaviga, come il capitano del suo naufragio.

“Qui la prima grande difficoltà per il narratore – perché c’è un uomo in acqua che nuota, e che cosa si deve raccontare in questi casi – che diventa sempre più stanco, e quali pensieri ha, e dove va a finire la bella plasticità – e anche i suoi pensieri sono soltanto frammento, schegge”. (R. Bazlen, Scritti, Adelphi, 2019, p.75)

Perché questa è la deriva:

“come aveva odiato la nave, com’era bello che tutti i libri si sciogliessero nel mare”. (ibidem, p.76)

Courtesy Ruby Rossini

Guardare alle immagini di Ruby Rossini consente di perdersi nei marginalia, muovendosi dall’epicentro della composizione, per mantenere un’aggregazione allo schema. Dal corpo a quello che non è corpo. In questo gioco attrattivo, il soggetto viene trasfigurato perché selezionato, selezionatissimo, marginalizzato ma non escluso.

Bobi Bazlen si specializza su un fuoco decentrato, perché non sempre il fuoco è al centro; può incendiare anche ai lati, fuori dal bordo.

La narrazione è un incedere per interruzioni di percorso narrativo, preferisce inserire i dossi nei sentieri che si aprono dalle sue parole; inciampare; singhiozzare; sforbiciare; tirare un colpo secco e prendere la mira.

E in questo senso si compie l’esclusione e il suo contrario. Quando si decide di emarginare qualcosa, il testo in questo caso – il libro inteso nel senso tradizionale del termine – si fa spazio ai marginalia, alle note a piè di pagina. Ecco il linguaggio dell’intimità; degli appunti come opere di scavo, di approfondimento, di scalpellino o di immersione. Mentre ci si confronta con i dettami propri della letteratura di Bobi; ma anche con quelli della fotografia di Rudy, il destinatario da raggiungere si fa sempre più vicino, a tal punto da poter diventare la parte più cara e più allo scoperto degli autori stessi.

Courtesy Ruby Rossini

Un flusso diaristico, quasi, che applica al testo e all’immagine un vero e proprio smontaggio: l’opera non è più inquadrata nell’ottica del risultato; l’opera si distende, si dipana nel momento in cui i frammenti o i dettagli si compongono.

Via il corpo intero, dalla testa ai piedi; datemi i suoi arti e le sue estremità.  

Una coltellata, una recisione di Patrick Bateman, ancora una volta. (Come se American Psycho possa essere l’anello di congiunzione tra due epoche e due immaginari, contenuti ed estetiche così differenti come quella di Bazlen e di Rossini).

Ma torniamo alla coltellata. È pulita, della durata di una frazione di secondo e mezzo.

Il contesto viene isolato e smembrato; emerge così con naturalezza un dettaglio, un parziale. Non si tratta di narrazione fluida, entro cui perdersi; tantomeno di narrazione che ha pretese di verità, imponendosi a chi legge, a chi guarda; non sta lì per riempire lo sguardo. 

Bazlen e Rossini puntano alla micronarrazione: non esistono grandi storie da raccontare. O meglio; le grandi storie da raccontare passano per i marginalia. Forniscono indicazioni, esprimono angolazioni e approfondimenti, celano le intuizioni, dichiarano la ripetizione in un gesto.

Le note in margine possono modificare la percezione dell’opera, possono indurre il lettore a ripensare il corpo testuale. Fino a creare un ribaltamento di gerarchia, a sovvertire il codice che regola la nostra consueta lettura.

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Courtesy Ruby Rossini

La percezione complessiva finisce così col boicottare ogni pretesa universale, per diramarsi in possibilità infinite che non hanno la presunzione di essere vere, uniche e incontrovertibili. 

Il dettaglio diventa la porzione di sguardo depositata sulle singole parti; sulla possibilità di divisione dei soggetti tra le proprie componenti, per guardarlo più attentamente mentre viene sezionato. Il risultato è un campo perfettamente delineato, di cui è stata rimossa la parte eccessiva. 

Si può ridurre tutto a una questione terminologica: di testo o marginalia.


Ruby Rossini vive a Londra. È Multidisciplinary Designer, Art Director e Fotografa. Ha un’educazione artistica tradizionale in Italia con pittura a olio e scultura. I suoi lavori si concentrano sul tema dell’appartenenza e dell’identità con diversi media, che vengono esplorati visivamente attraverso l’Image-Making. La sua direzione artistica è radicata nell’autenticità, nello storytelling e nei risultati visivamente forti.

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