Poesia come allarme – Ferie d’agosto, un inedito di Gilda Policastro

Ferie d’agosto

Sei tu che l’hai vista seduta, bambola obesa
la carne morta, il pollo di pietra
sul vassoio
a mezzo tavolo, scoperto (da chi? non da lei, occhio di pesce)
Teniamola così ancora un po’
teniamola sveglia,
così stanotte ci dà tregua
Miriana è bionda, stacca alle sei e va al mare
l’ha detto all’altro, che sembra geloso
non sei timida pegnente su istagra’

Sei tu che ti sposti con l’albero
non semovente
al pronto soccorso stanno messi meglio
ad attrezzi pe’ spostasse
neppure passa sotto le porte
dei bagni oltre il reparto
Marco passa sospinto, il codice non te lo dà,
ha detto manco lui ce l’ha,
indicando l’amico
Che ha fatto? Suicidio, ma nullo voleva
veramente, nun te prendi le pasticche:
te butti.
Marco guidava il camion e poi il botto,
la gamba rotta, me vedi così co’ la morfina
ma te perché sei così magra
Sei tu che hai già visto i teschi, il giallo umido
delle morti strette
non ti fa paura, se l’intubata se ne va
d’accanto, purché tolgano quell’allarme al monitor
(ha detto che è inutile, perché tanto di là non sentono)
Sarebbe disumano, umano è il rantolo
Sei tu che alle otto, dottor S!, gli dici, chiamo da casa
Sì, lo so, mi hanno detto com’era contenta
sei tu che non rispondi no, no, devo ancora fare 
cose, non è finita
un tubino dalla narice
all’esofago basso e poi…
Io, dice il dottor S,
manco morto.

Sei tu che non tornavi coi profumi, la doccia delle sette
il cornetto al bar di sotto
Sei tu che non andavi al mare nei weekend che
aspettavi, e aspettavi, e aspettavi
È arrivata una così scocciante
le senti dire, mentre pensa chissà dove ti sia rarefatta
hanno spostato la terminale che non sopporti e
non spengono, però: lo senti ancora quell’allarme,
lo dici a tutti, io con quel suonino
divento pazza, mentre
Elide l’ha fatta in mezzo alla stanza e c’è puzza ovunque
Nessuno usa il bagno, qui, sono allettate: tutte

Sei tu che devi smaltire il bario, una notte,
un’altra notte,
e un’altra ancora: la logorroica le danno la purga
si lamenta della pasta scotta,
ma domani me ne vado, è l’ultima notte
guardo il vassoio a mezzo tavolo
perché nun me portate ‘na frittatina
ripeteva, na frittatina
na frittatina
Sei tu che hai cercato il nome del primario
poi hai chiesto all’infermiera
ma allora non è salute mentale
perché sembran tutte …
Sono qua da tanto tempo,
lo fa
lo fa,
ripete,
quando è troppo,
lo fa

Poesia come allarme

Ho raccolto questo testo da terra, letteralmente. Il 29 maggio scorso, a Roma, in occasione del Premio Ferretti, Gilda Policastro è salita sul palco (visibile qui, al link, all’ora seconda, minuto primo) e ha letto alcuni testi da La distinzione, il progetto libro ancora inedito. Ogni foglio che si esauriva veniva fatto cadere in terra, in una performance pacata, interdetta quasi, dopo più di un anno senza alcuna occasione pubblica. Parlare in pubblico, trovarsi in uno spazio con decine e decine di persone, improvvisamente, fa l’effetto di una agorafobia nuova, irrazionale e razionale al contempo, direi confessionale. La performance suggeriva forse una dismissione di tutta l’auto-sorveglianza che ci siamo imposti, le regole di galateo emergenziale, all’insegna di una leggerezza ancora fuori luogo. Ho deciso di raccogliere i fogli, da buon filologo, dopo aver compreso definitivamente che se la voce parlava a noi, al pubblico, seduti distanziati, il gesto era anche un passaggio auto-narrativo, quindi filologico (per me) e poi, a casa, leggendo un suo post del 3 giugno, terapeutico (sul rilievo autoriale dei testi e dei gesti social, si legga questo mio contributo).

In bilico tra auto e biografia, come se il trattino fosse la spia del motore, il testo mi sembra partire da una registrazione, in più tempi, in più luoghi, di un discorso patologico. Come nei libri precedenti, Policastro accoglie con finzione ecumenica quei discorsi per risignificarli in sua e altrui funzione. Intanto la distinzione tra discorso commentativo e diretto “libero”, con la voce narrante poi personaggio che esordisce subito sul cimitero animale dei pasti, del cibo; quindi la gravitazione dei discorsi nell’io grammaticale, per dare impressione di realtà e di liminalità al contempo.
Il tour vitale (anche nell’intento suicida) fa giri assurdi per tornare sull’alimentazione, che è il punto, senza dubbio.

È un ospedale ricostruito, dalle sale d’attesa, dai colloqui, da quei dialoghi con gli estranei a cui tutto osiamo confidare, citando un viaggiatore cerimonioso. Questa poligenesi dei discorsi porta con sé la diastratia linguistica, la diafasia, fino all’utilizzo del dialetto, corsivizzato quasi per sottolineare uno sguardo da lontano che in realtà non è, si capisce. La frittatina è l’eco, l’allarme, di una inumanità messa in atto per gusto di parodia, quella vera. Allo stesso momento testo e contesto, io e altro, versi e documenti, patologia e basta, se il sussurlo è: ma allora non è salute mentale[!]

Gilda Policastro è docente di Letteratura italiana, scrittrice e critica letteraria. Cura la “Bottega della poesia”, rubrica settimanale del quotidiano «La Repubblica» ed è redattrice del sito «Le parole e le cose». Insegna Poesia presso l’Accademia di scrittura creativa Molly Bloom e Letteratura e Diritto all’Università Luiss-Guido Carli. Ha pubblicato saggi, romanzi e libri di poesia tra cui Non come vita (Aragno 2013), Inattuali (Transeuropa 2016), Esercizi di vita pratica (Prufrock spa 2017). È in libreria con il romanzo La parte di Malvasia (La Nave di Teseo, 2021).


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Copertina: The City is a Choreography di Melissa Schriek.