«attendere la sfortuna» – Alcuni inediti di Andrea De Alberti

Astianatte I e II – Alcuni inediti di Andrea De Alberti

Avrei potuto fare di più nella vita
che portare persone su un carretto di legno.

Astianatte

Nella sua stanza non vede altro che lische,
strofina una lampada con un calzino.
Si chiede che senso abbia attendere la sfortuna,
formare un talento,
addestrare con metodi educativi una flotta di navi.
Allena soldati a sbarcare,
alcuni hanno un crepacuore,
altri un percorso individuale.
Per non sparire accetta l’abitudine di affermare.
Si domanda senza riuscire a dare una spiegazione
se un’antenna di grillo possa trasportare i ricordi,
se le vittime della natura lasciano un testamento,
confessa di non capirci niente,
sa che un insetto dopo la morte
mantiene la stessa consistenza,
forse per via dell’umidità del suolo.

Il Grande Cavallo beneficia
dello spirito di un guscio,
un mondo che non ha
si sforza di attaccare tutto.

Astianatte II

I fiumi sono un fatto di cronaca,
una volta prosciugati non immagina più i pesci
che invece amano il fuoco come gli uomini,
le foglie, la loro castità disarmante.
Nell’acqua prima o poi ci finiscono tutti,
in un calendario di meno.
Si strofina troppe volte gli occhi,
gli piace osservare una libellula su una canna da
[pesca,
gli piace mangiare il pesce.
Nella parte più profonda del tubo vede le stelle
[senza trivellazione.
Tutte le vittime cadono di sbieco.
Bisogna credere che ogni cammino finisca
[nell’acqua,
perché la morale è un obbligo, gli disse il padre.
Ogni informazione privata è storia che si ritira.

Riusciva solo con grandi sforzi.
Se a uno a ogni passo gli capita qualcosa
alla fine diventa nervoso.
I bambini andavano in giro con bastoni di legno.
Era un bambino al quale capitava sempre
[qualcosa.
Quando la natura sbucò
dall’altra parte la prese in fronte. Ora.


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Nota ai testi di Demetrio Marra

Tutta la nostra vita non è al riparo,
i desideri hanno la punta dei piedi congelata

La strada per la comprensione

Ho incontrato Andrea De Alberti per la prima volta durante una giornata organizzata dal Collegio Borromeo di Pavia, nel 2014. Lì leggeva, se non ricordo male, da Dall’interno della specie (allora inedito). Subito, con la sua ombra che interrompeva i testi proiettati sul pannello, ho avuto l’impressione di avere di fronte un’opera. Che è assurdo: erano tre o quattro testi al massimo, tra l’altro in prosa, o comunque ancora in fieri (Nel laboratorio del poeta forse era il titolo dell’incontro) – senza che il suo tipico verso lungo, insomma, o meglio verso-frase, si fosse ancora imposto [se volete leggere della “scrittura” di De Alberti, compresa quella social, leggete questo mio pezzo su Treccani].

Soltanto qualche giorno fa, in una bella libreria di Milano (L’Aleph della metro Lima) ho avuto modo di recuperare il suo primo libro, ormai fuori commercio, Solo buone notizie (Interlinea, 2007): è una sorta di canzoniere al rovescio, per cui la lirica non è fondata sul soggetto, né sul tu: piuttosto su una serie, un insieme, una folla di interlocutori che lo assediano bonariamente, a cui si presenta come un ambasciatore (di sé stesso). Da cui viene liberandosi e che libera.
Se ho imparato a conoscere, quotidianamente, alla maniera di tutti i lettori di poesia in Pavia, De Alberti come ospite (colui che ospita), il suo secondo libro, Basta che io non ci sia (Manni, 2010), viene come ricordo circolare, e si innerva di quella periodicità (l’incontro al mese all’Osteria alle Carceri) che sapeva tanto di quotidianità. De Alberti ci racconta dei suoi, del movimento da suo padre a suo figlio che sembra scavalcarlo, nella logica della genealogia. Lì il soggetto è ancora un osservatore partecipante, un medio antropologico che prova, prova disperatamente a distaccarsi ma ci è tirato dentro.
Dall’interno della specie (Einaudi, 2017 – in mezzo c’è Litalìa, La grande illusion, 2011) è il tentativo opposto, forse addirittura verticale, di ricercare questo annientamento nel sé. Prima era una questione privata, adesso di specie: il singolo si spegne o si accende che fa lo stesso nel collettivo.

Cronometro sentimentale

Un cronometro sentimentale dovrebbe contenere
qualcuno che ti sogna per come sarai.
Eravamo in un ingorgo diventato terapeutico,
ascoltavamo di più, perché tutto era una strana
digressione della vita verso un punto che se
precipitava ci conteneva tutti.
Può essere che sia passato tanto, poi è emersa
la storia di noi due che ci eravamo attaccati
a un cordone ombelicale per non precipitare
prima che iniziasse il nuovo mondo.

Ora, nel suo ultimo libro, La cospirazione dei tarli. L’universo di Don Chisciotte (Interlinea, 2019) questo passaggio verticale sfonda la barriera del suono e diventa retorico, allegorico quindi letterario: l’ennesima biografia di Cervantes è confusa a progetto con quella del Chisciotte. Impazziscono tutti, autore e protagonisti, tanto che si svela l’obiettivo iniziale: un Pierre Menard schizofrenico vorrebbe scrivere la vita di Andrea De Alberti come Andrea De Alberti l’ha vissuta, finendo per capire che non si vive niente e che ogni soggetto ha senso solo se pensato da un altro soggetto che ha senso solo se… (Quando mi addormentavo mi vedevo riflesso…).

In tutti questi libri basta leggere un paio di versi per ripetere quell’impressione originale: che dietro ci sia una genealogia di significati, che ci sia una enorme e ingombrante costruzione simbolica. Un progetto, a voler parlare con meno istinto o emozione (ma quando presentava il Dodicesimo quaderno di poesia contemporanea parlava proprio e quasi esclusivamente di emozione, che è il lusso a cui tutti puntiamo, di poterci lasciare interrogare dai testi senza il resto, solo coi testi). I libri di Andrea De Alberti hanno una gestazione lunghissima, contraddittoria, una ricerca: per esempio due anni fa uscivano per Versodove alcuni testi già tradotti in inglese da un progetto titolato La rimozione del conflitto. Dove è finito quel libro?

Il macrotesto, allora, l’intelaiatura di significati e forme dei suoi libri, è alluso già dal singolo testo, incluso nel testo, in modo talmente reale che sembra anch’esso progettato, al pari di quella ricerca sineddochica che porta il soggetto a essere uomo, la sua autobiografia a diventare Storia (e mi si dirà: certo, il macrotesto e il testo sono reciprocamente, per definizione, implicati. Ok, ma quando questa reciproca implicazione è visibile come gli anelli di una cotta di maglia, contro i fili in poliestere?).

Adesso pare che De Alberti voglia attraversare il ponte che collega la letteratura al mito, al mito-mito, perché la genealogia (come direbbe Matteo Trevisani nel suo Libro del Sangue, Atlantide, 2021) è uno sguardo sul futuro quanto al passato, che sul conto dei morti è in sostanza la medesima materia:

Si domanda senza riuscire a dare una spiegazione […]
se le vittime della natura lasciano un testamento

Del resto la storia di Chisciotte era già scritta almeno quanto la storia di Astianatte, la leggenda, il fiume leibniziano (?):

Nell’acqua prima o poi ci finiscono tutti,
in un calendario di meno.

Destino o colpa, poi? A me è sempre sembrato che De Alberti volesse spogliarsi proprio di colpe che non ha commesso e che per la loro gratuità sono appiccicose come insetti sul sangue o sullo zucchero. Per questo gli ho chiesto di darci dei testi per lay0ut, che sta facendo, come sapete, una ricerca sulla colpa: quel verso di Philip Larkin, Man hands on misery to man

Da me, che sono per formazione un critico (per formazione!), è strano che non ci sia menzione a questioni più verificabili, come all’accennato verso-frase (una lampadina della coincidenza tra periodo sintattico e verso) o alla tensione tra assertività e non-assertività che ripete la tensione tra lingua al grado zero e aforismo (Tutte le vittime cadono di sbieco). Ma per De Alberti vale lo spoiler stilistico più che di fabula, per cui è un peccato mortale gettare, a priori o a posteriori, una luce o un’ombra (perché lo spoiler, per me, è anche quel giudizio infondato che si getta retroattivamente). E allora vi chiedo di partecipare solo a questo mio istinto, che ho di fronte qualcosa di molto più grande di come si presenta, anche solo – per non essere iperbolico – quantitativamente.

Foto: Michael Somoroff, Absence of Subject, omaggio a August Sander


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Foto di Dino Ignani

Andrea De Alberti è nato a Pavia (1974) dove si è laureato in Lettere moderne. Suoi testi sono usciti nell’Ottavo quaderno italiano a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos,2004). Ha pubblicato Solo buone notizie, (Interlinea 2007), Basta che io non ci sia (Manni 2010), Litalìa (La Grande Illusion 2011), Dall’interno della specie (Einaudi 2017) e La cospirazione dei tarli. L’universo di don Chisciotte (Interlinea 2019). È presente in diverse riviste e antologie di poesia tra le quali Nuovi poeti italiani in “Nuova corrente”, 135 (2005) a cura di Paolo Zublena.


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