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Infiltrazioni #1 – Nibali Vs Cendali

Infiltrazioni è una rubrica multimediale basata sull’accostamento e la comparazione fra opere di arte visiva e letteraria curata per lay0ut da Martina Santurri e Dimitri Milleri. L’idea nasce dal concetto di integrazione multimodale, proveniente delle nuove scienze cognitive e dell’embodied cognition, secondo cui la compresenza di stimoli senso-motori di dominio diverso (vista + udito, per esempio) neuronalmente non equivale alla somma degli stessi.

In copertina e in corpo testo: tele di Mirko Cendali. Testi: quattro poesie da Scurau (Arcipelago Itaca, 2021) di Giuseppe Nibali. Il segno [ indica che le parole successive fino all’accapo formano un unico verso con quelle della riga precedente.


Per caso

Quest’estate mi è capitato, per l’occasione di tenere un concerto, di imbattermi in una personale di Mirko Cendali. All’entrata, una citazione da Bacon sull’incompatibilità fra arte e buongusto. Una volta dentro, superato lo stupore di trovarmi di fronte un coetaneo, la mostra nel suo complesso mi ha subito rimandato a Scurau, l’ultima opera poetica di Giuseppe Nibali, uscita quest’anno per Arcipelago Itaca.

Scrissi su questo libro più di un anno fa, quando era ancora inedito, concentrandomi su alcuni aspetti formali (l’uso di un verso enunciativo ritmicamente molto ricco e circonvoluto, il soggetto onniveggente che fonda le visioni che prendono corpo nel libro). Sono persuaso che Cendali e Nibali nuotino in direzione di un assoluto disvelato, che per un uomo contemporaneo non può che essere esperienza o allucinazione dell’assoluto, simulazione abbastanza potente da diventare “vera”. Nello specifico, la posta in gioco è quella del disvelamento di un orrore materiale.

vengono visitati dai merli. Questa è la figura:

vengono visitati dai merli. Questa è la [figura:
un’alta ringhiera, migliaia di fedeli
rinunciano alle provviste,
i figli tenuti lontani dalle reti; un tubo è [spaccato,
acque ne escono a fontane, tre, quattro [roghi
almeno. Non sentono rovina le ali sul [dorso.
Fottono il neo della sera diretti alla città,
Il becco, il breve piumaggio oltre le ciglia
giallo come bolo di gheppio, verso i nidi
dietro case palazzi, la chiesa rossa di [San Giacomo.

I corpicini, il giorno dopo, neri sulle [trappole.
Tace la meccanica nei cuori, gli animali sono freddi. Quelli con più carne [saranno dati ai giovani, gli altri
i piccoli, le loro ossa verranno spolpate [dai vecchi

Scurau: mortalità, materia, apocalisse

La mortalità in Scurau non è un elemento puntiforme, lontano, ma un processo palpabile che relaziona costantemente gli animali umani e non umani al momento della loro sparizione. Sostantivi archetipici come “corpo”, “sangue” e “morti”, e avverbi di tempo e luogo estremi come “sempre” o “ovunque”, insieme alla sentenziosità vaticinante determinano lo sguardo del parlante, un parlante che vede tutto e demiurgicamente determina il senso del mondo.

Questa potenza enunciativa, per risultare credibile, ha bisogno di emergere da un tragico assolutamente non quotidiano e assolutamente rimosso, pubblicamente parlando. La predazione, il cannibalismo, l’emergere chiaro del dominio della lotta: in Scurau fra società tardo-capitalistiche, branchi di predatori e sopravvissuti a un armagheddon ecologico non c’è una differenza qualitativa, ed è naturale che i giovani diventino “mandrie di giovani”. Ciò che cambia è il grado di occultamento delle condizioni materiali di esistenza (sopraffazione, uccisione, gerarchia) che i singoli viventi (o gruppi di viventi) possono permettersi, che li distingue nella loro posizione sociale e biologica.

verrà tempo per la coscienza, Clara. Per i femori tuoi lunghissimi, per il

verrà tempo per la coscienza, Clara. [Per i femori tuoi lunghissimi, per il
feto magro fatto enorme. Tu su te mai [un’accusa, tieni l’asfalto tutto nella
schiena tra i muscoli di cerva, il resto [nella carne degli occhi: La traccia
di un gatto; un acquazzone; la gazza
[scuoiata, poverina; il suo ultimo fiato.

Un altro attentato a Londra. Un furgone, tre uomini. London Bridge, pieno centro; poi hanno continuato verso il Borough Market. Ma la macchina di dietro cattura panorama: donna con giubbotto dozzinale; uomo sul crinale a indicare l’eliporto; macello di vagina sui sedili di una jeep. Registra: sesso cieco di due grilli; morte di un pedone, la famiglia, due passanti. Nella lingua comune parlando: un bell’immenso sogno di contadini per baci ancora

L’oracolo decomposto: le narrazioni antropologica

Le allucinazioni veritative prodotte dal soggetto sono per natura scalfibili, non abbastanza solide da offrire una visione del mondo duratura. Poesie come la ragazza al portone, di fronte alla tua casa lo testimoniano: le narrazioni antropologiche, l’identità sociale, la giustificazione dei desideri, degli intenti, dei rapporti di forza – tutto questo non è altro che un racconto stento, tanto più evidente quanto più ricondotto a un contesto familiare e riconoscibile, e si contrappone al racconto rivelato che il libro si prende la responsabilità di offrire.

Uno dei meriti di Scurau è quello di mettere in campo un doppio tentativo di globalità: tentare di parlare all’uomo come specie e tentare di parlare all’occidente come mondo unito («questa terra dove l’umano tramonta», dalla postfazione di Tommaso Di Dio). L’apocalisse di Nibali è ad alta risoluzione, è connotata, attraversata da smontatori teriomorfi di devices elettronici, telecamere instancabili perse nel nulla dei boschi, città e nomi da tutto il mondo riuniti in uno stesso destino.

È stata la fame a costringerle a lasciare il tempio

È stata la fame a costringerle a lasciare [il tempio
Non ci sono turisti da quando è partito il [contagio.
Per la strada adesso i maschi [impongono comando
Il gruppo si divide, i giovani vanno verso [le vie
minuscole, gli anziani si sciolgono nello [snodo
principale. Lopburi, Phra Pang Sam Yod, [vicino
Ayutthaya, a nord di Bangkok. Lì erano [placide
sazie e non mordevano, attaccavano di [rado,
rubavano ancora meno. Adesso la [strada è il campo
del sangue, per mezzo chilo di banane i [padri
graffiano il costato dei figli. Si registrano [i primi
casi di cannibalismo, eppure sono [onnivori, uova
di uccelli, semi e frutta, ma mai carne se [non di
granchio, sulla costa

La lingua: un’arma

Il lessico, tramite escursioni vertiginose tra il sacro, l’italiano d’importazione con espressioni quali “fottere il neo della sera” e il coprolalico si combina alla sintassi articolata ma non frammentata per un esperienza linguistica radicale, votata alla rappresentazione del trionfo del male. Questo trionfo e le tinte forti stilistico-formali si legittimano a vicenda: torna accettabile piangere, disperarsi, hanno senso la tragedia e l’elegia con lettere maiuscole.

Sempre linguisticamente parlando, è straniante l’ultima sezione in dialetto siciliano ricostruito, che dà il titolo al libro. Qui, la rovina potenziale e il processo di mortalità si incarnano nel sempre uguale di un meridione astratto e druidico che non è nuovo alla letteratura (anche solo pensando a Cristo si è fermato a Eboli). Nei testi, le spinte portanti e le figure-personaggio – le pulsioni di morte e violenza, l’ineluttabilità della storia, il materialismo riduzionista, l’essere per la morte di specie e individui – trovano invece una rappresentazione più localmente circoscrivibile, e anche più intima in un certo senso. Una serie di sagome che, citando, “ridono, puzzano di vera gioia, poi vogliono morire” chiudono l’opera dialetticamente e nel segno della lode, nonostante tutto, di una vita cruenta e ingiustificabile.

Scurau, u senti stu scuru ca ni pigghia? Statti ccà. Resta,

Scurau, u senti stu scuru ca ni pigghia? [Statti ccà. Resta,
è longa a nuttata, e non chianciri, basta. [I casi ‘i spunnaru.
‘I spunnau n’ventu chinu e’ jorna. Trasi e [talìa a me vesti,
a morsi a morsi ppi ttia, ppi quannu [nascisti e ppi to patri
ca u chiamai tutt’u tempu e non [m’arrispunniu ancora.

Veni cà, non chianciri. Intra’a chiesa [parravanu ro nfernu,
u parrinu s’infucau e avìa l’occh’i fora; [ppi lu scantu
t’incaccau l’ogghiu supr’a testa. Sulu cà, [pri thri ghiorna,
lucìu a festa.

(Ha fatto buio, la senti questa oscurità che ci prende? Rimani qui. Resta / la notte è lunga, e non piangere, basta. Hanno sfondato le case. / Le ha sfondate un vento pieno di giorni. Entra e guarda la mia veste, fatta a brani per te, quando sei nato e per tuo padre / che ho chiamato tutto il tempo e non ha risposto ancora. // Vieni qua, non piangere. Dentro la chiesa parlavano dell’inferno, il prete si è infuocato e aveva gli occhi di fuori; per lo spavento / ti ha premuto l’olio sulla testa. Solo qui, per tre giorni, / si è illuminata la festa.)

Mirko Cendali: Il ribaltamento interno-esterno

L’arte di Mirko Cendali a una immediata lettura rivela un gusto neometafisico nelle ampie campiture monocromatiche e nelle superfici anche epidermiche liscissime (anche se a volte turbate da squarci suturati sulla tela), che contrastano intensamente con una interiorità anatomica decomposta e frastagliata. Un movimento che porta dalla pennellata, intesa come azione e – al contempo – oggetto tradizionale, al contenuto “horror”. La maggior parte delle teorie estetiche ritengono che qualsiasi forma di bruttezza può essere in qualche modo redenta dalla sua fedele rappresentazione artistica; in questo caso non si ritrae esattamente il brutto ma l’orrorifico, che si lega prima di tutto alla con-fusione ontologica di interno ed esterno operata da certo surrealismo. Sembra di guardare quell’autoritratto molle in cui Dalì decide di dipingere non l’apparenza ma la sostanza, e la sostanza è viscera organica, bile, pelle cedevole.

Ecco che lo scambio di “interno” ed “esterno” – una sorta di disfunzione dello strato epiteliale del quadro – rivela un carattere, o una natura, postumana sia perché cadaverica sia perché animale, quasi una metamorfosi classica (o una trasfigurazione, come il Bacon che si cita all’inizio dell’articolo). Il cadavere è agente nelle composizioni di Cendali: fa nella pratica qualcosa, dà vita ad azioni, sospira, digrigna i denti, sustanzia una sorta di danza macabra (come nella fig. 2) che è relazione con la morte.

Se queste “infiltrazioni” sono scambio biunivoco, possiamo considerare i quadri di Cendali come delle ecfrasi rovesciate: la materia in-corporea (decaduta e animale) si identifica con il “male”, con l’entropia etica e non dell’universo fisico: la poesia di Nibali.


Giuseppe Nibali è nato a Catania nel 1991. Si è laureato in Lettere Moderne e in Italianistica a Bologna dove è stato membro del Consiglio Direttivo Centro di Poesia Contemporanea dell’Università. Giornalista Pubblicista, dal 2017 al 2019 è stato direttore editoriale della rivista online Midnight Magazine. È direttore responsabile di Poesia del nostro tempo e curatore del progetto Ultima. Collabora con Le Parole e le cose, La Balena bianca e con il magazine Treccani. Ha pubblicato i libri di poesia: Come dio su tre croci (Edizioni AE, 2013), e Scurau (Arcipelago Itaca, 2021).

Mirko Cendali (2000) studia all’accademia di Belle Arti di Firenze. Oltre alla pittura, che è la sua occupazione principale, si interessa al cinema, alla musica, alla psicologia e alla medicina per realizzare i propri lavori.


Nota critica (paragrafi relativi ai testi): Dimitri Milleri
Nota critica (paragrafi relativi alle opere pittoriche e al confronto con quelle testuali): Martina Santurri
Apparato iconografico: Dimitri Milleri e Martina Santurri

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