La forma del mondo: tre “Proêmes” di Francis Ponge

da Proêmes (Gallimard 1948)

Mémorandum (1935)

	Étonnant que je puisse oublier, que j’oublie si facilement et chaque fois pour si longtemps, le principe à partir duquel seulement l’on peut écrire des œuvres intéressantes, et les écrire bien. Sans doute, c’est que je n’ai jamais su me le définir clairement, enfin d’une manière représentative ou mémorable.
	De temps à autre il se produit dans mon esprit, non pas il est vrai comme un axiome ou une maxime: c’est comme un jour ensoleillé après mille jours sombres, ou plutôt (car il tient moins de la nature que de l’artifice, et plus exactement encore d’un progrès de l’artifice) comme la lumière d’une ampoule électrique tout à coup dans une maison jusqu’alors éclairée au pétrole… Mais le lendemain on aurait oublié que l’électricité vient d’être installée, et l’on recommencerait à grand-peine à garnir des lampes, à changer des mèches, à se brûler les doigts aux verres, et à être mal éclairé…
	«Il faut d’abord se décider en faveur de son propre esprit et de son propre goût. Il faut ensuite prendre le temps, et le courage, d’exprimer toute sa pensée à propos du sujet choisi (et non seulement retenir les expressions qui vous paraissent brillantes ou caractéristiques). Il faut enfin tout dire simplement, en se fixant pour but non les charmes, mais la conviction
Memorandum (1935)

	Incredibile come io riesca a dimenticare, con tanta facilità e ogni volta per così tanto tempo, l'unico principio in base al quale è possibile scrivere dei libri interessanti, e scriverli bene. Senza dubbio, non ho mai saputo definirlo a me stesso chiaramente, una volta per tutte, in modo emblematico o memorabile.
	Di volta in volta, rinasce nella mia mente, non è esatto come un assioma o una massima: è come un giorno assolato dopo mille giorni di buio, o piuttosto (poiché ha preso meno dalla natura che dall'artificio, e più esattamente ancora dal progresso dell'artificio) come la luce d'una lampadina accesa di colpo in una casa illuminata fino allora a petrolio… Ma l'indomani ci si dimentica che la corrente è stata installata, e si ricomincia con pena a piazzare lampade in giro, a trafficare con gli stoppini, a brucarsi le dita sui vetri, e ad essere scarsamente illuminati… 
	«Bisogna innanzi tutto volgersi al proprio genio e al proprio gusto. Bisogna poi trovare tempo e coraggio di esprimere tutto il proprio pensiero sul soggetto prescelto (e non soltanto ricordare le espressioni che ci dovessero sembrare brillanti o particolari). Bisogna infine dire tutto in maniera semplice, puntando non tanto al fascino, quanto alla convinzione

Préface aux sapates (1935)

	Ce que j'écris maintenant a peut-être une valeur propre: je n'en sais rien. Du fait de ma condition sociale, parce que je suis occupé à gagner ma vie pendant pratiquement douze heures par jour, je ne pourrais écrire bien autre chose: je dispose d'environ vingt minutes, le soir, avant d'être envahi par le sommeil. 
	Au reste, en aurais-je le temps, il me semble que je n'aurais plus le goût de travailler beaucoup et à plusieurs reprises sur le même sujet. Ce qui m'importe, c'est de saisir presque chaque soir un nouvel objet, d'en tirer à la fois une jouissance et une leçon; je m'y instruis et m'en amuse, enfin: à ma façon.
	Je suis bien content lorsqu'un ami me dit qu'il aime un de ces écrits. Mais moi je trouve que ce sont de bien petites choses. Mon ambition était différente.
	Pendant des années, alors que je disposais de tout mon temps, je me suis posé les questions les plus difficiles, j'ai inventé toutes les raisons de ne pas écrire. La preuve que je n'ai pourtant pas perdu mon temps, c'est justement ce fait que l'on puisse aimer quelquefois ces petites choses que j'écris maintenant sans forcer mon talent, et même avec facilité. 
Introduzione ai doni nascosti (1935)

	Quello che scrivo ora forse ha un certo valore: io non lo so. A causa della mia condizione sociale, dato che sono occupato a guadagnarmi il pane praticamente dodici ore al giorno, non potrei scrivere altro: dispongo di circa venti minuti, la sera, prima di essere invaso dal sonno.  
	Del resto, anche avendo del tempo, mi sembra che non avrei più il gusto di lavorare molto e a più riprese su uno stesso soggetto. Quello che m'interessa, è scegliere più o meno ogni sera qualcosa di nuovo, da trarci ogni volta un po' di piacere e un insegnamento; mi ci ingegno e mi ci diverto, perfino: a mio modo.
	Sono molto contento quando un amico mi dice che apprezza uno di questi scritti. Ma io credo che siano ben povere cose. La mia ambizione era altra.
	Negli anni, quando disponevo di tutto il mio tempo, mi sono fatto i problemi più strani, ho inventato tutte le scuse pur di non scrivere. La prova che tuttavia non ho sprecato il mio tempo è appunto nel fatto che posso trovare soddisfazione, talvolta, in queste piccole cose che scrivo ora, senza forzare il talento, e perfino con facilità.

La forme du monde (1928)

	Il faut d’abord que j’avoue une tentation absolument charmante, longue, caractéristique, irrésistible pour mon esprit.
 	C’est de donner au monde, à l’ensemble des choses que je vois ou que je conçois pour la vue, non pas comme le font la plupart des philosophes et comme il est sans doute raisonnable, la forme d’une grande sphère, d’une grande perle, molle et nébuleuse, comme brumeuse, ou au contraire cristalline et limpide, dont comme l’a dit l’un d’eux le centre serait partout et la circonférence nulle part, ni non plus d’une «géométrie dans l’espace», d’un incommensurable damier, ou d’une ruche aux innombrables alvéoles tour à tour vivantes et habitées, ou mortes et désaffectées, comme certaines églises sont devenues des granges ou des remises, comme certaines coquilles autrefois attenues à un corps mouvant et volontaire de mollusque, flottent vidées par la mort, et n’hébergent plus que de l’eau et un peu de fin gravier jusqu’au moment où un bernard-l’hermite les choisira pour habitacle et s’y collera par la queue, ni même d’un immense corps de la même nature que le corps humain, ainsi qu’on pourrait encore l’imaginer en considérant dans les systèmes planétaires l’équivalent des systèmes moléculaires et en rapprochant le télescopique du microscopique.
	Mais plutôt, d’une façon tout arbitraire et tour à tour, la forme de choses les plus particulières, les plus asymétriques et de réputation contingentes (et non pas seulement la forme mais toutes les caractéristiques, les particularités de couleurs, de parfums), comme par exemple une branche de lilas, une crevette dans l’aquarium naturel des roches au bout du môle du Grau-du-Roi, une serviette-éponge dans ma salle de bain, un trou de serrure avec une clef dedans.
	Et à bon droit sans doute peut-on s’en moquer ou m’en demander compte aux asiles, mais j’y trouve tout mon bonheur.
La forma del mondo (1928)

	Bisogna innanzi tutto che io confessi una tentazione assolutamente fascinosa, antica, peculiare, irresistibile per la mia mente.
	Si tratta di dare al mondo, all'insieme delle cose che vedo o percepisco attraverso la vista, non già come fanno quasi tutti i filosofi e come di certo sembrerà ragionevole, la forma di una grande sfera, d'una grande perla, molle e nebulosa, quasi di bruma, o al contrario cristallina e limpida, di cui come ha detto qualcuno il centro sarebbe ovunque e la circonferenza in nessun luogo, né di una «geometria nello spazio», di una scacchiera infinita, o di un alveare dalle innumerevoli celle volta a volta viventi e abitate, o morte e in disuso, come certe chiese divenute fienili e rimesse, come certe conchiglie un tempo aderenti al corpo vivo e cosciente d'un mollusco, le quali galleggiano svuotate dalla morte, e non imbarcano più che un po' d'acqua e di sabbia fino a che un paguro bernardo non la elegge a domicilio ficcandoci dentro la coda, e nemmeno di un immenso corpo della specie stessa del corpo umano, tal ché si potrebbe ancora immaginarlo considerando nel sistema solare l'equivalente del sistema molecolare, correlando così il telescopico al microscopico.  
	Ma piuttosto, di un'apparenza del tutto arbitraria e ineguale, la forma delle cose più particolari (e non soltanto la forma ma tutte le caratteristiche, le sfumature del colore, dell'odore) come ad esempio un ramo di lillà, un gamberetto nell'acquario naturale delle rocce in fondo alla banchina di Grau-du-Roi, una salvietta nel bagno di casa mia, un buco di serratura con dentro la chiave.
	E senz'altro a buon diritto se ne potrà ridere o chiedermene conto in manicomio, ma io ci trovo tutta la mia contentezza.  

traduzioni di Fabrizio Miliucci


Nota a margine

Il testo spiacevole

«L’immagine della lingua adulta, enigmatica e coperta di tranelli, e l’allusione agli aspetti consentiti dell’esperienza del mondo. Il testo in quanto tale è presente per un attimo, e per un secondo fine; non si affronta e non si esaurisce nel godimento della lettura». Così scriveva Jacquelin Risset[1] a proposito della scrittura di Ponge, e in particolare del suo libro più famoso, Il partito preso delle cose. E infatti ciò che contraddistingue Ponge è un effetto di ribaltamento o delega, il passaggio “dalla parte degli oggetti” – non, però, nei termini di una loro “tematizzazione”, bensì rendendo il soggetto, come sottolinea Andrea Inglese, «cassa di risonanza dell’oggetto, colto nella sua estraneità originaria»[2].

Conseguenza è che la stessa pasta testuale ne risente, si organizza sulla spinta (o non-spinta) dell’oggetto-alieno, che mette in dubbio, sì, la priorità ontologica del soggetto, ma contestualmente anche la scrittura in quanto epica, verticalità o anche organizzazione: «le «cose» non sarebbero altro, al limite, che pretesti per decifrare, ovunque si posi il suo sguardo, il desiderio dell’espressione che anima lo scrittore»[3]. Cosa che consente ai lavori di Ponge, dunque, di essere concrete abdicazioni del soggetto, «fenomenologia materialista», e, allo stesso tempo, metascrittura.

È così che diventa chiaro, infatti, il discorso de La forma del mondo, qui tradotto da Fabrizio Miliucci: se il testo è un’esperienza del mondo, la sua riformulazione secondo determinate leggi, Ponge mira a riconoscere l’arbitrarietà di quella stessa riformulazione. Non la «sfera» cui ricorrono «quasi tutti i filosofi» – e cioè un’architettura coerente di ciò che esiste – bensì l’emersione imprevista, imprevedibile, i «brevi frangenti» di cui parla Morton[4]. Va da sé che lo stesso testo non può vivere di una tensione al “bello” – criterio umano – bensì di un asciugamento, qualcosa che regredisce.

L’altra ambizione

Ma allora perché la scrittura? Alcune risposte arrivano proprio da queste traduzioni di Miliucci. Memorandum, ad esempio, ci pone subito di fronte a un tarlo: il punto non è perché si scrive (quale specifico motivo può indurre a farlo), ma l’atto di scrivere in sé, il suo avvenire. «Incredibile come io riesca a dimenticare […] l’unico principio in base al quale è possibile scrivere»: la posizione di Ponge è al di qua del progetto, segue quasi un impulso («non […] un assioma o una massima»), che viene descritto – e anche questo è significativo – solo tramite immagini («un giorno assolato», «la luce d’una lampadina»).

Capiamo quindi che la scrittura di Ponge mette interamente in discussione la categoria dell’intenzionalità, o per lo meno la piega sull’occasione in cui sorge la scrittura; segue un programma solo per ciò che concerne la disposizione («più o meno ogni sera») e non effettivamente ciò che si scrive. Riesce, insomma, a separare l’attività del dire da quella del comporre, senza per questo cadere in una trappola di non-sense (nelle prime frasi dell’Introduzione ai doni nascosti, ad esempio, leggiamo in controluce un discorso sull’alienazione e sul lavoro) e anzi restituendo alla parola un suo peso che è leggerissimo, ma specifico.

La scrittura e il linguaggio vanno dunque qui interrogati secondo la categoria del destino, più che della volontà, nel senso che la scrittura e il linguaggio sono l’inevitabile essere al mondo dell’uomo. Da qui la possibilità di essere materialisti senza sbandare in un titanismo anti-umano che richiederebbe, per compiersi, proprio il massimo dell’antropocentrismo. La nitidezza, il chiarore di Ponge sono il risultato di una fresca riscoperta dell’esterno, nonché delle sedimentazioni ingabbianti interne alla scrittura – l’ottenuto estetico viene respinto in quanto valore («senza forzare il talento»), e la parola può di nuovo lievitare nell’atmosfera, rivolta verso un’«altra» ambizione.

Antonio Francesco Perozzi


[1] Nella prefazione a Il partito preso delle cose, Einaudi, 1980.

[2] https://www.nazioneindiana.com/2012/11/27/lanomalia-ponge/

[3] Ancora da Risset, come per la citazione successiva.

[4] Timothy Morton, Iperoggetti, Nero Editions, 2018.


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Di Francis Ponge (1899-1988) sono stati pubblicati in lingua italiana: Vita del testo (a cura e con introduzione di Piero Bigongiari, Mondadori 1971); Il partito preso delle cose (traduzione di Jacqueline Risset, Einaudi 1980); Testo sull'elettricità e Il sole in abisso (a cura di Daniele Gorret, L'Obliquo 1997 e 2003), Nioque de l’avant-printemps, ovvero Cognizione del periodo che annuncia la primavera (traduzione di Michele Zaffarano, introduzione di Jean-Marie Gleize, Benway Series, 2013). Proêmes (Gallimard 1948) non è ancora stato tradotto e pubblicato integralmente in Italia.
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Fabrizio Miliucci è nato a Latina nel 1985 e vive a Roma. Ha pubblicato Nuove poesie (Perrone 2010) e, di recentissima pubblicazione, Saggio sulla paura (Pietre vive 2022).


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