ecfrasi Riccardo Innocenti

Quest’opera è perversa, abusa di noi – 4 ecfrasi di Riccardo Innocenti

Le 4 poesie inedite di Riccardo Innocenti qui presentate fanno parte di Paesaggio anomico, raccolta di prossima pubblicazione. Accanto alle singoli ecfrasi troverete una foto o un video dell’opera corrispondente come da titolo, fatta eccezione per l’ultima: non abbiamo trovato testimonianze multimediali di Five Day Locker Piece, la performance di Chris Burden. Al suo posto un fotogramma di Shoot, un’altra performance menzionata nella poesia.


Can’t help myself [1]

L’opera è enorme, occupa la stanza
lasciando poco spazio
per chi la guarda, mentre il robot
balla e schizza un liquido rosso scuro
sul vetro antiproiettile. Quest’opera
è perversa, abusa di noi - anche
se c’è una bellezza, una grazia
infusa nella macchina. Ricorda 
un personaggio femminile di Flaubert.

Non si riesce a smettere di fissarla
per quanto ferisca. Ovviamente il liquido 
non è sangue ma ciò non lo rende 
meno disturbante. Così i seni 
anche se sono palesemente rifatti
funzionano lo stesso. Sembra
viva questa macchina, sembra 
che ragioni anche, che sogni. È bello
questo totem malato che fa male
mentre ammalia: una spogliarellista
che raccatta i soldi a fine serata.

[1] Sun Yuan e Peng Yu (gli artisti)
sono cinesi e questo dovrà pur
essere di qualche importanza.


The Marriage of Reason and Squalor I

Come un fiore nell’evidenza 
di un fiore, oggetto fatto con le mani
per essere sé stesso. Tutto 
sarebbe immobile

piano e chiaro, silenzio 
che ritorna ancora meno. 
Come se fosse possibile dire 
niente a nessuno.

Bed[1]

Il letto è rifatto ma le lenzuola
sono semi-sfatte proprio come le trovi
nelle camere di molti hotel, bianche 
e fresche. Questo invece sa di notte
marcia, è il letto di un pittore affamato
che ha fatto dono di sé, con quella
coperta da camera della nonna.

È solo un lettuccio ma sembrerebbe
che ci sia morto dentro e male
sciogliendomi o scoppiando come
una cimice nel microonde. Ora 
guardo dall’alto ciò che rimane. 

Oppure rientriamo a casa la mattina
o nel primo pomeriggio, molto stanchi 
trovando la sorpresa ad aspettarci.

[1] L’opera è di Robert Rauschenberg
artista statunitense del dopoguerra
grande bevitore e omosessuale.


Five Day Locker Piece

Essere stato e squagliarsi nel sollievo
di abortirsi: la dieta dello svanire come
un Cristo morto di sonno nell’armadietto
sepolcro U.S.A. o Volkswagen Beetle(s). 

Chris Burden in uno dei nove armadietti 
giovane operato senza anestesia, all’Elba
dopo un incidente stradale. Correva
fra curve e strapiombi, come un indiano

al tramonto. Epica borghese
farsi missile o comunque sparire
risucchiato dalla vagina il colpo
dalla carne alla canna del fucile.


Postfazione

Oltre alla loro cifra letteraria, le poesie di Riccardo Innocenti hanno il pregio di interrogarci sulle modalità del genere ecfrastico nell’era dei media tecnologici, sia in termini di produzione che di ricezione. Non è questo lo spazio per uno studio approfondito del tema (Chiara Portesine l’ha fatto molto bene in questo saggio su Arabeschi, ma la bibliografia è vastissima), tuttavia il layout di questo nostro articolo si presta bene a qualche spunto di riflessione.

La prima evidenza è l’impostazione pseudo-museale delle ecfrasi, quasi una galeria sanguinetiana: l’impaginazione che abbiamo pensato per questi testi permette al lettore di comparare immediatamente la poesia con l’opera a cui si riferisce, dandogli la possibilità di cercare in tempo reale un qualsiasi appiglio descrittivo o narrativo all’interno di quest’ultima. Il fruitore di questo articolo potrà dunque aver voglia di misurare l’eventuale sforzo mimetico del poeta, verificando il grado di fedeltà e di aderenza allo stile dell’artista, dacché è venuta meno la possibilità di leggere la poesia in absentia del suo riferimento: l’opera non è epitesto, ma paratesto a corredo dei versi. La facilità di consultazione dell’opera, inoltre, mette in atto alcuni rischiosi meccanismi involontari di giudizio, e ci vengono spontanee alcune domande probabilmente sbagliate: «Vale in questo caso il teorema ut pictura poiesis? I versi sono riusciti a dire l’opera, a restituire l’esperienza del vedere?» In queste condizioni, lo scritto poetico rischia di diventare la didascalia dell’immagine (o, se si vuole, il contrario), a meno che non si osservi il fenomeno in ottica traduttoria: in fondo l’ecfrasi altro non è che una traduzione intersemiotica, per cui porre opera e ecfrasi a fianco è la medesima operazione del testo a fronte in ambito di traduzione letteraria. Ma andiamo avanti.

La seconda evidenza è che, anche e soprattutto nel caso dell’ecfrasi, si verifica la consueta sproporzione tra l’esperienza del poeta e quella del lettore. Ho chiesto a Innocenti se avesse visto con i propri occhi le opere in questione e lui me lo ha confermato: le ecfrasi si sono sviluppate a partire da un reale impatto visivo (e uditivo, nel caso di Can’t Help Myself) con l’opera in sé, a parte Five Day Locker Piece per ovvi motivi, trattandosi di una serie di performance di Chris Burden avvenute negli anni Settanta (e qui ci sarebbe comunque molto da dire a proposito dell’ecfrasi come pratica poetica in seguito alla visione di una performance d’artista dal vivo – è il caso appunto di Can’t help myself – in video, o riferita da una cronaca -> Five Day Locker Piece).

Si tratta dunque di una actual ekphrasis, ovvero di una ecfrasi mimetica che fa riferimento a un’opera reale e non finzionale (cfr. J. Hollander, The Poetics of Ekphrasis, in «Word & Image», IV ,1988). Il lettore invece – a meno che non abbia avuto lo stesso privilegio di Innocenti – è costretto a vedere l’opera filtrata dal medium fotografico su uno spazio editoriale online tramite un supporto elettronico, il che gli provoca inevitabilmente un handicap (almeno) triplice nella percezione. Le caratteristiche della foto, la prospettiva, l’inquadratura (possiamo anche vedere il video di Can’t Help Myself e immedesimarci nel resoconto del poeta), il filtro utilizzato dal fotografo, la postproduzione, la distanza dall’obiettivo, l’impaginazione dell’articolo, il supporto sul quale vede l’immagine (pc, smartphone, tablet): per esempio, la foto di Bed che abbiamo fornito ritrae l’opera nel contesto di una mostra, ma avremmo potuto pubblicare anche una versione scalare del quadro in jpeg, probabilmente suscitando altre impressioni. Osservando la foto che abbiamo scelto, tra le altre cose, non è possibile capire che l’opera presenta elementi aggettanti (il cuscino, le lenzuola, vedi immagine sottostante): tale caratteristica di violenta tridimensionalità materica dell’opera sarà stata invece evidente e decisiva per il poeta che ha potuto vederla coi suoi occhi. Questo sicuramente ci dice qualcosa in più sul contenuto del testo, anche alla luce di certi passaggi della prassi materialista delle ecfrasi di Ponge.

Nella prima strofa di Bed, Innocenti tenta attraverso un’analogia di rompere l’imbarazzo della descrizione illustrando le coordinate basilari dell’opera con tono quasi denotativo («Il letto è rifatto ma le lenzuola / sono semi-sfatte proprio come le trovi / nelle camere di molti hotel, bianche/e fresche»), ma già al quarto verso abbiamo un indizio del coinvolgimento innaturale e paradossale di chi scrive nell’opera: l’impasto cromatico, la resa plastica delle lenzuola sembrano generare nel poeta un senso di repulsione («Questo invece sa di notte / marcia»), in parte contestualizzato dai versi in nota, ironicamente biografici. Nella seconda strofa, per improvvisa omodiegesi, il letto di Robert Rauschenberg diventa il letto del poeta, che vede in scena la propria morte per esplosione/scioglimento letteralmente dentro il quadro, sovrapponendosi all’artista (giacendo con lui nel letto/opera o prendendo il suo posto vacante?) e sdoppiandosi infine nel suo osservatore: «Ora / guardo dall’alto ciò che rimane» (a proposito: «dall’alto»? Ma l’osservatore non è forse in piedi, gli occhi allo stesso livello del quadro? No, pensateci: un letto appeso in verticale su un muro si guarda dall’alto).

Siamo ovviamente ben lontani dai modelli omerici tradizionali, per i quali la descrizione di un’opera finzionale e l’evocazione di storie a partire dalle immagini producevano significato e morale tramite una sospensione del pathos della narrazione epica, una deviazione temporanea dal corso degli eventi comunque funzionale alla struttura del poema. Qua il nodo centrale è la messa in gioco dell’io con l’opera esperita nel suo effettivo esserci, nel suo essere oggetto estetico visibile e concretamente veduto: un po’ come nel caso di Andrea Inglese in Commiato da Andromeda (Valigie Rosse 2011), nelle crude ecfrasi di Innocenti non è il poeta a descrivere ciò che accade nell’immagine, ma è l’immagine a risucchiare dentro di sé il poeta, coinvolgendolo in una nuova esperienza che si incarnerà poi nella scrittura in versi. Non c’è compiacimento modernista o pacificazione/sublimazione in questa collisione di linguaggi e diverse sensibilità: l’opera è un «totem malato […] bello» che «abusa di noi» (Can’t help myself) o, al contrario, uno spazio da invadere con la propria soggettività, come il letto di un hotel appena abbandonato dal precedente avventore. Scrive W.J.T. Mitchell in Mostrare il vedere (2002):

«Potremo anche rilevare che la letteratura, con tecniche come l’ekphrasis e la descrizione, ma anche con strategie più sottili di disposizione formale, implica esperienze virtuali o immaginative di spazio e visione che pur essendo espresse indirettamente, attraverso il linguaggio, non per questo sono meno reali».

Abbiamo già provato a indagare il rapporto tra immagine e linguaggio a partire da una prosa di Russell Edson: la poesia e l’arte iconica rivendicano la loro indipendenza di ruolo e linguaggio, ma mi sembra che la pratica ecfrastica offra – anche per assurdo o per paradosso – delle provocazioni utili a un orientamento nell’iconosfera (Cohen-Séat). Occorre insistere a osservare il mondo in cui viviamo per come come ce lo restituisce l’arte in ogni sua forma, senza smettere mai di problematizzare l’uno e l’altra, «come se fosse possibile dire niente a nessuno». Questo verso esprime l’attonimento del poeta di fronte all’essenzialità dell’opera minimalista di Frank Stella The Marriage of Reason and Squalor I; poco prima, aveva descritto «la bellezza, […] la grazia infusa nella macchina» (Can’t Help Myself), paragonando il terribile congegno abusante di Sun Yuan e Peng Yu a un «personaggio femminile di Flaubert». Pur nel turbamento dell’esperienza estetica come riverbero del dramma dello stare al mondo («Essere stato e squagliarsi nel sollievo /di abortirsi»), Innocenti, io credo, è memore della nota e irrinunciabile ammonizione di Elio Pagliarani ne La ballata di Rudi: «Ma dobbiamo continuare / come se non avesse senso pensare / che s’appassisca il mare».

Bernardo Pacini


Riccardo Innocenti (Grosseto, 1992) vive a Bologna, dove si è laureato in Letterature moderne, comparate e postcoloniali con una tesi su Emanuel Carnevali. Nel giugno 2020 ha esordito sulla rubrica Officina Poesia di Nuovi Argomenti con sei poesie inedite. Ha scritto due prose per il litblog Mirino.