Dantedì – Le commedie divine di James Merrill

Oggi 25 marzo è il dantedì, il giorno scelto per celebrare, annualmente, Dante Alighieri. Il 2021 è il settecentenario dalla morte di Dante, avvenuta tra il 13 e il 14 settembre 1321. lay0ut non può avventurarsi in una (ancora) critica dantesca, saremmo gli ennesimi. Abbiamo chiesto perciò a Flavio Santi un contributo, con a mente il suo «Figurando il paradiso»: metafora religiosa e vita materiale dalle origini a Dante (Mimesis, 2016). Lui ci ha proposto delle traduzioni da James Merrill, autore americano fondamentale tradotto pochissimo in Italia (qui Damiano Abeni per Le parole e le cose). I testi si inseriscono perfettamente nella nostra ricerca traduttoria sul Nord America.

Per scelta redazionale e traduttoria, le maiuscole apposte a ogni inizio verso dall’autore (anche nei manoscritti, per cui non si tratta di coerenza tipografica) sono state ridotte nella versione italiana. Confidiamo, in questo modo, nell’aumento della leggibilità.


Nota del traduttore

Più che il Dante “in sé”, a me interessa il Dante “per gli altri”, da qui la domanda-curiosità-traccia investigativa: quanto conta Dante per la cultura degli altri? Ad es., per gli americani? C’è un grande poeta americano, poco noto in Italia – e dunque poco tradotto, poco letto, poco assimilato, la storia di un amore non ricambiato, perché lui invece ha tradotto Montale, amato Pasolini, Roma, l’Umbria, le spiagge italiane. Si chiama James Merrill (1926-1995), ed è tra i vertici della poesia americana – Harold Bloom lo dice alla sua maniera, senza tanti giri di parole, “James Merrill è stato uno dei poeti americani centrali del XX secolo, un importante successore di Robert Frost, Wallace Stevens, T.S. Eliot”. Nel 1976 Merrill pubblica Divine Comedies (premio Pulitzer per la poesia). Divine Commedie. Ecco, evidentemente per lui Dante conta molto: “oltre che santa, la vita era un inferno” (Whitebeard on videotape).

Proponiamo tre poesie: idealmente, una infernale, una purgatoriale e una paradisiaca. A voi decidere la collocazione di ognuna.

Flavio Santi

The Kimono

When I returned from lovers’ lane
My hair was white as snow.
Joy, incomprehension, pain
I’d seen like seasons come and go.
How I got home again
Frozen half dead, perhaps you know.

You hide a smile and quote a text:
Desires ungratified
Persist from one life to the next.
Hearths we strip ourselves beside
Long, long ago were x’d
On blueprints of “consuming pride.”

Times out of mind, the bubble-gleam
To our charred level drew
April back. A sudden beam . . .
– Keep talking while I change into
The pattern of a stream
Bordered with rushes white on blue.

Il Kimono

Tornato dai vicoli bui dell’amore
i miei capelli erano bianchi come neve.
Gioia, incomprensione, dolore
avevo visto andare e venire come stagioni.
Come sia tornato a casa
assiderato e mezzo morto, dovresti saperlo.

Celi un sorriso e citi un libro:
i desideri inappagati
perdurano di vita in vita.
Molto, molto tempo fa
sui negativi dell’“Orgoglio distruttore”
una X marchiava il focolare
davanti al quale adesso ci spogliamo.

Tempi lontani, un riflesso di bolla
riporta Aprile al nostro piano
infuocato. Un lampo improvviso…
– continua a parlare mentre io divento
un raggio listato di barlumi bianco-blu.

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Un manoscritto di The Kimono (fonte qui).

Manos Karastefanís

Death took my father.
The same year (I was twelve)
Thanási’s mother tought me
Heaven and hell.

None of my army buddies
Called me by name –
Just “Styles” or “Fashion plate”
One friend I had: my body.

And, evenings at the gym
Contending with another,
Used it to isolate
Myself from him.

The doctor saved my knee.
You came to the clinic
Bringing War and peace
Better than any movie.

Why are you smiling?
I fought fair, I fought well,
Not hurting my opponent,
To win this black belt.

Why are you silent?
I’ve brought you a white cheese
From my island, and the sea’s
Voice in a shell.

Manos Karastefanís

La morte si è presa mio padre.
Lo stesso anno (ne avevo dodici)
la madre di Thanási mi insegnò
Inferno e Paradiso.

Tra i compagni d’armi nessuno
mi chiamava per nome –
solo “Damerino” o “Figurino”
un solo amico avevo: il mio corpo.

E la sera in palestra
lottando con un altro
lo usavo per isolarmi
da tutti.

Il dottore mi salvò il ginocchio.
Tu venisti in clinica
portandomi Guerra e pace
meglio di un film.

Perché adesso sorridi?
Ho lottato sodo, ho lottato duro,
senza far male a nessuno,
per vincere questa cintura nera.

Perché adesso taci?
Ti ho portato del formaggio di capra
dalla mia isola e la voce del mare
in una conchiglia stellare.

Explicit of Lost in translation:

… And after rain
A deep reverberation fills with stars.

Lost, is it, buried? One more missing piece?

But nothing’s lost. Or else: all is translation
And every bit of us is lost in it.
(Or found – I wander through the ruin of S
Now and then, wondering at the peacefulness)
And in that lost a self-effacing trees,
Color of context, imperceptibly
Rustling with its angel, turns the waste
To shade and fiber, milk and memory.

Explicit di Lost in translation:

… E dopo la pioggia
un intenso riverbero ci inciela.

Ma allora tutto è perduto, sepolto? Un altro pezzo mancante?

Niente è perduto. O meglio: tutto è traduzione
E ogni pezzo di noi lì si perde.
(O si ritrova – a volte vago tra le rovine di S
vagheggiando quella pace)
E in quella perdita un albero modesto,
impercettibilmente – colore del contesto –
frusciando con il suo angelo trasforma la desolazione
in ombra e fibra, latte e ricordo.

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James Merrill (New York 1926 – Tucson 1995) è uno dei più importanti poeti della sua generazione. I suoi lavori attraversano i generi, inclusa la prosa e il teatro, ma il cuore della sua arte è la poesia. Ha vinto quasi tutti i maggiori premi letterari americani: due National Book Awards, per Nights and Days (1966) e Mirabell: Books of Numbers (1978); il lungo poema epico ispirato a Ouija The Changing Light at Sandover (1982) ha vinto il National Book Critics Circle Award; è stato premiato anche al Bobbitt National Prize for Poetry dalla Library of Congress per The Inner Room (1988); ha ricevuto sia il Bollingen Prize in Poetry sia il Pulitzer, per Divine Comedies (1976).

Flavio Santi vive tra la campagna pavese e quella friulana. Ha tradotto autori classici (tra cui Hermann Melville e Francis Scott Fitzgerald) e contemporanei (Wilbur Smith e Ian Fleming tra gli altri). Insegna all’Università dell’Insubria di Como-Varese. Autore di numerose raccolte di poesia (l’ultima Quanti per Industria&Letteratura) e di diversi libri di prosa (con Aspetta primavera, Lucky, Socrates, 2011, è stato candidato al Premio Strega). Nel 2016, per i tipi di Mondadori, è uscita la prima indagine dell’ispettore Drago Furlan. Molte sue opere sono tradotte in diverse lingue, dall’inglese all’indonesiano. È tifosissimo dell’Udinese, e coltiva un piccolo orto.