#Editoriale – Le colpe che abbiamo

In Tre versioni di Giuda, se ho capito Jorge Luis Borges, si dice una cosa: il figlio di Dio, del Dio cristiano non è Gesù ma Giuda. Non vuole farsi blasfemo, piuttosto essere a modo suo critico, quasi filologico (e se la filologia è geneticamente biblica…): a Borges sembra del tutto assurdo che per espiare il peccato originale, per ritirare la mela-malum dalla gola – e penso al nodo che viene nel senso di colpa, come avessi un bolo incastrato – che per la salvazione della umanità intera un Dio così spirituale chieda sofferenza carnale, la via crucis. Però per Borges, come in un ribaltamento da serie televisiva, è più vero il dolore di Giuda che quello di Gesù. Se il figlio di Dio è colui che è destinato a soffrire estremamente per l’estremo peccato dell’uomo, allora è più probabile che si tratti di una sofferenza psicologica: cosa c’è di peggio che tradire colui che siederà alla destra del Padre, pur amandolo? Nulla (Matteo, 27, 3-5):

3 Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti e agli anziani 4 dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «Che ci riguarda? Veditela tu!». 5 Ed egli, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi. 

Nulla e per di più il suo pentimento viene rigettato. Così giunge al suicidio, l’unico gesto veramente peccatore, perché nega l’azione creatrice della divinità (non a caso l’unico vero problema filosofico per Albert Camus in Il mito di Sisifo, qualcuno che su senso di colpa e sua assenza ha scritto molto).
Giuda Iscariota è imperdonabile (Borges, Tre versioni di Giuda):

Dio si fece totalmente uomo, ma uomo fino all’infamia, ma uomo fino alla riprovazione e all’abisso. Per salvarci, avrebbe potuto scegliere qualunque dei destini che ordiscono la complessa rete della storia; avrebbe potuto essere Alessandro o Pitagora o Rurik o Gesù; scelse un destino spregevole: fu Giuda.

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Il bacio di Giuda Iscariota a Gesù secondo Giotto.

Ora, cosa c’entri con lay0ut, con un progetto di rivista. Su Instagram abbiamo lanciato martedì scorso un “Concorso di colpa”: abbiamo chiesto a chi volesse partecipare (e potete ancora farlo, scrivendoci su uno qualsiasi dei nostri social, mail compresa) semplicemente di ripetere le parole a tema e di aspettare. Tutto è nato perché ci sentivamo in colpa, riunendoci il sei settembre sera, di non aver ancora ricominciato: neanche un contenuto pronto, nessuna programmazione, l’estate passata in assenza dei nostri doveri. Abbiamo deciso anche di diminuire i contenuti settimanali, di mollare un po’ la presa. No: non per ossequio a una prosecuzione immaginaria dell’estate ma perché ci siamo resi conto che pubblicando così tanto l’unica cosa che ne è venuta è farvi sentire in colpa, nostri lettori, di non riuscirci a seguire con la dovuta attenzione. Prendere su di noi la colpa è un modo, prima di tutto, di liberarvi dalla colpa (ironia: per salvaguardarsi dal mental breakdown). Quando già a fine riunione si parlava di Fantacalcio – se Gonzalez della Fiorentina farà o meno il suo dovere (per sentirlo in colpa a fine stagione, magari retwittandolo, o per sentirci noi in colpa di aver speso quel decimo dei crediti totali) – uno di noi ha rimesso in circolo l’idea che si dovesse, intanto, almeno far sapere tramite Instagram che ci siamo, che non siamo scomparsi. Ecco: il Concorso di colpa è l’occasione per dirvi che non abbiamo mollato, ci stiamo solo prendendo il tempo che ci serve e ci sentiamo in colpa nel farlo, sapendo che siamo in buona compagnia. Se posso darvi un consiglio partecipate, perché io credo nel valore del rinforzo positivo e stiamo pensando a qualche premio, a qualche regalo, così da confermarci come rivista al top delle vostre preferenze.

Forse però mi sono perduto. Giuda Iscariota e le Ficciones, lay0ut che riprende a fine settembre con meno articoli e il concorso di colpa. Ma non è questa colpa, dannatissima, che ci struttura? Non parlo di eventuale colpa, di puntuale, ma di continua, di colpa vitale. Ci siamo resi conto che lanciando il concorso di colpa stessimo, finalmente, parlando del sentimento fondamentale nostro e della nostra contemporaneità. Chi siamo per vivere nell’Occidente globalizzato, quale mossa, astuti come colombe, possiamo fare per toglierci di dosso la puzza del privilegio? E la colpa dei nostri genitori, che ereditiamo quanto i difetti (ne parlava Larkin, ricordate?), che hanno lasciato che scorresse a fianco a loro questo neoliberismo colpevolissimo (ancora) dell’emergenza climatica? Che poi cadrà, nelle consequenze, sugli altri più che su di noi, centrali nella politica. La colpa di stare a casa dei miei, nella disoccupazione? La colpa di aver scelto facoltà improduttive? Di voler ancora, testardo, impostare un filtro sulla ricerca delle posizioni aperte, di voler avere la possibilità di scegliere! La colpa di indossare magliette al ribasso prodotte da paesi del terzo mondo, la colpa di mangiare avocado dal Perù e di preferire, mentre scrivo, l’aria condizionata perché mi imparanoio che il computer appena acquistato a rate possa soffrire il caldo, colpa di amare, colpa di rinunciare alla palestra, di non finire quel libro, che mi dice dall’angolo del tavolo (Barthes, Il piacere del testo):

Perché, in opere storiche, romanzesche, biografiche, c’è (per alcuni fra cui io) un piacere a veder rappresentare la vita quotidiana di un’epoca, di un personaggio? Perché questa curiosità dei minuti particolari: orari, abitudini, pasti, alloggi, abiti, ecc.? È forse il gusto fantasmatico della “realtà” (la materialità stessa di “questo è stato”)? Non è il fantasma stesso a chiamare il “particolare”, la scena minuscola, privata, in cui posso prendere facilmente posto? Ci sarebbero insomma dei “piccoli isterici” (questi lettori) che ricaverebbero godimento da un teatro singolare: non quello della grandezza, ma quello della mediocrità (non possono esserci sogni, fantasmi di mediocrità?)

Sentimento di colpa nel dover citare Barthes per riuscire a dire, dopo tredici anni di scuole dell’obbligo (altro Leitmotiv) e sei di Università trasformabili in perdita economica, che abbiamo sogni non di grandezza ma di tranquillità, di, appunto, mediocrità, per dire, con le parole della mia terapeuta, che bisogna lasciarsi la possibilità di deludere gli altri, soprattutto i propri genitori.

Non siamo eredi di nulla, io credo, se non delle informazioni atone che trasportano i geni ma se, metaforicamente, vogliamo proprio sceglierci le nostre eredità io preferisco riconoscermi in Giuda, che comprando con i soldi del suo delitto un campo, precipitò in avanti “e si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere” (Atti degli apostoli, 1, 18-19), pena ipertrofica per qualcosa che letteralmente Dio gli aveva previsto – e cos’è Dio per noi, nella profezia privata che ci raccontiamo e ci facciamo raccontare, se non l’insieme dei campi sociali, relazionali, culturali che ci condizionano irrevocabilmente?

Hermann Nitsch, Imitatio Christi

In copertina: foto di Cottonbro, via Pexels.


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