La Galleria | Esperimenti sull’ecfrasi – astrattismo e narrazione

lay0ut magazine vuole fare una seria ricerca sull’ekphrasis. Il dialogo tra arti è per noi essenziale. Il titolo, “La Galleria” viene da un’opera di Giovan Battista Marino. Ma abbiamo pensato, forse, con più intensità, a Il museo di Reims di Daniele Del Giudice.
Abbiamo chiesto, con un modulo Google aperto a tutti, di produrre delle ecfrasi di due opere di artisti ancora in vita, giovani: tutte riconducibili all’ambito dell’astrattismo. Non abbiamo imposto obblighi di alcun tipo, né limiti formali e sostanziali.
Da noi, abbiamo cominciato la ricerca pubblicando un’introduzione al tema di Anthea Grassano e degli inediti di Riccardo Innocenti.

La selezione dei testi è avvenuta con la collaborazione di Michela Iannella


Le due opere: “Parallelepipedo e scarabocchio rosso” di Gabriele Romei e “Numero 110” di Stefano Casati

Cinque ecfrasi per opera

di Gianluca Garrapa

la dimensione del desiderio è questa
la cancellazione della terza dimensione
è quella: dietro il coagulo rossastro del
viscerale primigenio eccoci noi
parallelepipedi a modo di iceberg

c’è un croma conscio rigato
dalle barre della civilizzazione
un croma rigato che ancora non sa
di essere incastrato
c’è il croma più chiaro celeste
che spicca e spiega il croma brillante dell’inconscio

poi attutire il contrasto tra i conflitti

colori
l’orizzonte della striscia a mezzo parallelepipedo

e il verticalizzante slancio astrale dello scarabocchio

come a dire a dipingere: siamo gettati
in materia di colori sfasati.

di Michele Granzotto

In piccoli punti concentro
le atmosfere di un seno

                                  il senso sbalza
il tum tum d’un intorno

e il tratto dell’adulto
che sente – non vede

                 e il suo riflesso – asfissia
che con tutto il suo rosso
scaglia scaglia

non toglie l’orgoglio di dirsi
segno             un sussulto

di Antonio Francesco Perozzi

come sai, si viene dal fuoco, cioè da un pennarello Giotto scarico, cioè dal compito dell’incudine, cioè dal ruolo involontario della centralità, cioè da un possibile schema, cioè da bande larghe che si stagliano (sono il Giovedì, la Vita, l’America, la Cassa), cioè da bande di colore vario e consistenza molteplice, cioè ci si staglia, cioè si è in una dualità dei sopra e dei sotto e dei bianchi e dei neri (e di moltissimi altri Tao), cioè ci si conforma a una regola informe, cioè ci si individua in uno schema particolare, cioè ci si trova in un grattacielo (a Los Angeles), cioè ci si trova, cioè ci si abita, cioè ci si muove dentro quattro metri cubici, cioè ci si agita, cioè ci si accende ben oltre il grattacielo (il vetro che riflette, è Los Angeles, si muore dal caldo), cioè ci si allegorizza in un pennarello scarico (rosso), cioè si viene dal fuoco, come sai:

dello stesso autore

procedevano a macchie perché non era possibile. quando scelse l’autonomia non era possibile. dunque fallì la propria impossibilità e si risolse definitivamente in una macchia. essere al centro cosa vuol dire. Adesso cominciamo a distribuirci secondo un criterio molto semplice: i rumori, le macchie. l’autonomia non è possibile. nel senso che non è possibile qualcosa di diverso. come vedi essere una macchia isolata significa comunque essere una macchia, del tipo che una lunghissima ragione (nerastra) ti regge al fianco della Specie. questa insolenza, questo grandissimo senso dell’identità. da molto non è più possibile. perciò se ti scegli fuori dal rumore (non scegli niente: il rumore è di chi non ha scelto) ti corrobori come macchia. chiaramente e vorticosamente:

di Gerardo Iandoli

Il mondo è una galleria d’insuccessi
in cui navigano i resti di produzione.

Uno scaffale interpreta il ruolo
di uno spazio occupato da risolvere:

mancano i fondi degli assessorati
e allora una muffa indica il destino

sversandosi pigra verso il basso
come un remare irritato di rosso.

dello stesso autore

Il pelo del pube si aggrappa al tanga:
tolta la maschera il sesso si infrangerebbe.

Quelle cosce si accavallano per scolpire
un unico blocco di pelle bianca:

è il segnale per scrivere da capo
qualsiasi autobiografia.

di Sandra Branca

Dall’alto della hall di un aeroporto
– orario semivuoto –
hai scorto nello spazio neutro qualcosa
come un tuo movimento trainante.
Ha la forma d’un nero grumo di languore:
viaggia una malinconia latente, agisce
intorno a sé, si muove, non importa dove.
Irrisolvibile nero in pace col nero.
Lo abbandona un ricordo-blu lungo
una scia residua come d’un siero.
Un palpito – rosso improvviso lo sfiora
ma hanno aperto il gate; prosegue, è l’ora.

di Marco Todoverto

Non è solo una macchia, questa volta,
la mosca morta sopra la tovaglia.
Questa è la centodecima. La prima,
però, a mostrarsi come altro. Non rogna,
ronzio e fastidio, zampe di letame
e carogna. Ma bianca vita tolta.

E sta sul tovagliolo una memoria
del blu, scossa della racchetta elettrica,
del rosso, sangue o sugo,
della nera traiettoria del corpo
e della bianca vita tolta, bianca.


di Ilaria Monti

Da bambina mi sono chiesta
Perché avessi le pupille nere
Perché le macchie negli occhi
Perché l’azzurro, il verde, perché tutto pigmenta e poi scolora.

Poi ho capito che la pupilla è nera
Perché è scavo di tempo
E che il colore
poteva essere lingua.

di Francesco Maria Terzago

Quando vide il rigagnolo di smalto rosso si chiese da quanto tempo
quello spazio fosse inutilizzato. Da quanti anni la copertura metallica
giacesse precipitata al centro del capannone con quella striscia
sbeffeggiante a uscire da un buio di lamiera ed eternit, con nidi sparpagliati di vespa vasaia.
Pensò alle quantità di vernice sversata, considerò le misure di un simile spreco e si perse nello stimare la distanza che lo divideva dal serbatoio rovesciato o dalla tolla, o.
L’Origine del colore era mascherata dai rifiuti.
Quindi definì scenari capaci di considerare:
– la temperatura in cui si fosse svolto l’evento
– la viscosità del prodotto (ipotetiche marche)
– l’eventuale grado di diluzione
– la pendenza della superficie di calcestruzzo
– la capacità di assorbimento dello stesso
Il rosso inalterabile era coperto dagli strami del rovo e divideva in due il paesaggio dove prosperava l’ailanto e l’odore di quella pianta rendeva l’aria oppressiva.

Fosse stata un’altra persona avrebbe pensato a una creatura siderale schiantata in quel punto.
Avrebbe letto in quelle forme uno scheletro terroso, il residuo di una scarnificazione ad alte temperature, nell’atmosfera. I piedi conficcati nel terreno, le ali spezzate e poi un becco, lungo come un’automobile, di sottile zinco.

Lui proseguì con altri ragionamenti libero da ogni suggestione:
una stima delle tonnellate di materiale ferroso che si trovava davanti a lui, se fosse stato possibile venderlo e con profitto.
Considerò le difficoltà di smaltimento dell’asbesto e l’entità della ristrutturazione che quel luogo avrebbe richiesto per tornare a produrre.

L’agenzia non era stata attendibile nelle informazioni che gli aveva fornito.

Gli ci vollero undici minuti per confermare le sue stime iniziali.
Si rincuorò considerando il fatto che aveva raggiunto quel lotto esaurito ogni altro impegno aziendale.
Quello, a suo parere, non sarebbe mai potuto essere un buon investimento.


Nota ai testi e alle immagini

Criteri di lettura dell’arte astratta

di Martina Santurri

Che cosa è l’arte astratta? A un livello zero è quel linguaggio visivo che non ha un referente iconico, non segue dei meccanismi (visivi) mimetici rispetto al reale. Potremmo dire, metaforicamente, che l’arte astratta è una forma prossima alla poesia: la funzione denotativa lascia molto più spazio alla funzione connotativa, alla forza espressiva ed emotiva del significante.

Non esiste un criterio di lettura univoco, oggettivo e sempre valido per quanto riguarda l’arte astratta, tuttavia è possibile fare alcune considerazioni. Contrariamente a quello che si è soliti pensare, l’arte astratta non riguarda la bellezza e l’armonia delle forme e dei colori: è molto altro, anche se a queste coordinate spesso là si è ridotta (etichettandola come “arte decorativa”, quale arte senza quindi una funzione precisa).

In altre parole, a essere interpretati sono dei segni senza referente iconico. Mentre nel figurativo tutti concordiamo in linea di massima sulla natura degli elementi presenti nello spazio, nell’astratto no. Dunque l’interpretazione gioca un ruolo fondamentale, il nostro background culturale e le nostre esperienze condizionano inevitabilmente quello che vediamo. Esistono coordinate entro cui leggere il segno astratto o è tutto lasciato al caso?

A questa domanda ha provato a rispondere la semiotica della pittura. Alla base della ricerca, avviata da Greimas, è la convinzione che dal punto di vista semiotico qualsiasi testo (anche visivo) è portatore di segno, quindi unità discreta di significato. A un grado figurativo nullo i significati vanno cercati nel segno plastico, ovvero in quei segni non mimetici che possono essere suddivisi in: organizzazione spaziale, rapporto tra gli elementi, colori e chiaroscuri. Il segno plastico acquisisce per esempio significato attraverso i rapporti che instaura con la cornice che lo inquadra e con gli altri elementi interni al quadro. Per quanto interessante, è chiaro che l’analisi semiotica di un dipinto astratto rimanga piuttosto meccanica, sfuggono dal suo sguardo gli elementi più espressivi o emotivi che un dipinto potrebbe comunicare.

Ciò che sfugge può essere colto con un approccio storico-artistico, che distinguerebbe almeno due tipi di astrazione: quella geometrica tipica delle prime avanguardie e quella gestuale e libera (post Pollock). La prima tipologia risulta da criteri più stringenti, come calcoli e misure ordinate (Mondrian, per esempio), la seconda è frutto della libera espressione dell’artista, che trasporta la propria interiorità sulla tela, trascrive liberamente. A queste due tipologie rimandano i quadri che abbiamo scelto per la nostra “Galleria”.

Gabriele Romei è tenzialmente geometrico: buona parte della composizione dipende dalla disposizione degli elementi, ci interessa soprattutto la visione di insieme del dipinto, l’equilibrio o disequilibrio del tutto. Stefano Casati utilizza invece segni liberi, espressivi, la lettura compositiva procede temporalmente, attraverso gli spostamenti dell’occhio nelle direzioni delle “pennellate”. La scelta di due pratiche astratte diverse tra loro per la nostra “Galleria” ha permesso di esplorare alcuni interessanti margini della pratica ecfrastica. Allo stesso tempo, abbiamo accostato questi due dipinti perché condividono a livello percettivo un aspetto preciso: è un elemento a dominare la composizione (la macchia rossa nel primo, lo schizzo nero nel secondo).

Ecfrasi che non sono

Quando ci è venuta in mente l’idea della Galleria, pensando a quel Marino barocco pochissimo letto, il punto era forzare talmente tanto il rapporto tra immagine e testo da romperlo. Adesso penso solo a quanto questo rapporto fosse di già rotto e che noi non scopriamo nulla (e grazie, direte). Come la nostra idea di contatto è in fondo un’interazione tra vuoti (il 99,9% di un atomo non è occupato) testo e immagine interagiscono pur non facendolo: questo non mette in luce un’aporia, ci informa soltanto della natura di quest’aporia, che per noi è il suo contrario. Non so se mi son spiegato. Torno all’atomo: vero che siamo fatti di atomi e fino a prova contraria, al livello infinetesimale, non ci tocchiamo mai: ma un abbraccio si sente, come si sente che l’immagine è un discorso e che le parole sono icone.

I testi che abbiamo ricevuto, circa quaranta, hanno tutti provato ad avvicinarsi all’immagine (quasi un gesto fisico), a ripeterla, o commentarla, o aumentarla eccetera nonostante l’immagine rimanga lì fissa, non faccia sforzo alcuno. Cioè provano a interagire con l’immagine (di fatto leggendo l’ecfrasi in maniera non semplice, come dalla mitologia greca, che, exempli gratia, partiva dalla descrizione di uno scudo per raccontare un’intera vicenda) senza riuscirci, trasformando l’immagine in una sua replica inesatta. Parlo di replica a livello intenzionale, di inesatta nei risultati, in una sorta di ossimoro attivo.

Ora, nonostante l’insensatezza dell’operazione (o estrema sensatezza, se il nostro senso è quell’insenso, eccetera, ci siamo capiti) si possono fare, come già ha fatto Martina Santurri che ci dà una chiave per l’arte astratta, alcune osservazioni.

L’arte astratta, da qui, sembra effettivamente imparentata con la poesia. Dei testi arrivatici una quota irrilevante sono prosa narrativa o saggistica. La specifica è necessaria perché, ad esempio, Perozzi (che non a caso studia le distinzioni interne-esterne alla poesia, qui e qui) ci consegna delle prose in prosa all’insegna della non-assertività o quasi (Giovenale e poi Picconi). Azzardo che se proprio all’ecfrasi vogliamo dare lo statuto di de-scrizione, di scrittura di secondo grado con contenuto un’icona, come ri-produzione, allora questa “imitazione” sta più nella ripetizione del processo che dei suoi elementi formali e contenutistici. Mi piace dirlo così: l’ecfrasi ripete prima di tutto l’informale e cioè il meccanismo, privato o pubblico, scartafacciato o ordinatissimo, di creazione. Per questo l’apparente assenza di contenuto palese non è un ostacolo al parallelo con la poesia che invece, a meno di quella metasemantica, si struttura in parole che hanno sempre o quasi sempre un significato. L’arte astratta comunica un meccanismo connotativo che viene percepito dal fruitore e poi autore come il meccanismo più coerente per l’ecfrasi.

I criteri della selezione? Già, perché questi dieci testi, come si poteva immaginare, sono soltanto rappresentativi del totale giuntoci per la call. Li abbiamo scelti per qualità e opportunità critica. Oltre ai testi di Perozzi, insieme a Iandoli (già da noi pubblicato) l’unico presente due volte, quelli che oltrepassano l’idea tradizionale di poesia sono di Granzotto – che inserisce un elemento di scrittura asemica – e di Terzago – che coerentemente con la sua poetica tende a un allungamento del verso non senza ritmo e sfrutta in questo caso, come a voler oggettivare, la forza dell’elencazione ad anafora grammaticale. Garrapa unico mantiene la figura del parallelepipedo ed è questione tutt’altro che scontato (se il segno è altro, anche la geometria rischia di esserlo).
Interessante che tre testi – di Branca, Todoverto e Monti – partano dai quadri per raccontare. Questo sembrerebbe confliggere con quello che ho detto poco addietro, del meccanismo connotativo etc. Ma: si tratta di narrazioni da flash fiction (di tradizione americana?)

Si potrebbe dire altro, di una coerenza fonosimbolica tra testi, del porno intravisto da alcuni, della tendenza o meno autobiografica. Ecco: mi fermo, perché l’articolo è già stato impegnativo e perché non voglio dire troppo, voglio riservare al lettore uno spazio d’interpretazione maggiore, anche di partecipazione. Non finisce qui, anche: Anthea Grassano scriverà ancora per noi sull’ecfrasi e noi daremo alla luce un’altra call, cambiando oggetto. Seguiteci.


Biobibliografie degli autori

Gli artisti

Gabriele Romei

(Fiesole, 1981) vive e lavora a Firenze. RMOGRL8120 è un pezzo del suo codice fiscale diventato suo nome d’arte. La sua arte astratta, basata su una evidente ricerca di equilibrio, utilizza elementi semplici ed essenziali come forme geometriche, linee e scarabocchi, uniti alla forza espressiva del colore puro e spesso primario. 

Stefano Casati

(Treviglio, 1978) è restauratore e decoratore, nel 2017 scopre la passione per l’arte astratta e inizia una ricerca personalissima. Nelle sue tele propone visioni atmosferiche, cariche di colore, dove la gestualità della pennellata scompare spesso sotto una cortina sfocata.

Gli scrittori

Sandra Branca

Vive e lavora a Firenze. Ha collaborato con riviste di arte e cultura contemporanea come “Artribune” e “Memecult”. Suoi testi compaiono in Poetare Quaderno e Poetare Agenda 2022, in “Poesia del Nostro Tempo” e “Poesia Ultracontemporanea”.

Gianluca Garrapa

È del 1975 e ha scritto: di fantasmi e stasi. transizioni (Arcipelago Itaca ‘17); Il 23 agosto (Eretica ‘18); Un ronzio devastante e altre cose blu (Terra d’Ulivi ‘18); La cosa (Ensemble ‘20); Pagina Bianca (Miraggi ‘20) e cose sul counseling.

Michele Granzotto

Michele Granzotto nasce a Treviso nel 1995. Leggere e scrivere versi è un gesto che lo accompagna con costanza. Alcuni testi compaiono in “Poetarum Silva”, e due lavori di scrittura concettuale sono ospitati dalla rivista “Crux Desperationis”.

Gerardo Iandoli

Nasce ad Avellino nel 1990. Si è laureato in Italianistica all’università di Bologna. Attualmente è dottorando dell’università di Aix-Marseille, dove si occupa di rappresentazioni della violenza nella narrativa italiana contemporanea. Ha pubblicato nel 2019 una raccolta di poesie, Arrevuoto, presso l’editore Oèdipus.

Ilaria Monti

Ilaria Monti nasce a Latina nel 1993. Storica dell’arte e curatrice indipendente, scrive di arte contemporanea su riviste online interdisciplinari. In ambito poetico ha pubblicato: Dalla terra (Bertoni Editore, 2019); Pelle Ombra (Terra d’Ulivi Edizioni, 2021).

Antonio Francesco Perozzi

Nato nel 1994 a Subiaco. Ha pubblicato il romanzo Il suono della clorofilla (L’Erudita, 2017) e la raccolta di poesie Essere e significare (Oèdipus, 2019).

Francesco Maria Terzago

Nasce nel 1986. Suo è Caratteri (Vydia), prefazione di Gian Mario Villalta, Premio Violani Landi (UniBo). Attraversa antologie: Ultima *Eldorado (‘20/21), Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90. Vol. 2 (‘20, Interno Poesia) e periodici: “Nuovi Argomenti”.

Marco Todoverto

Nato nel 1993 a Valdobbiadene, si è laureato in Lettere e Filologia moderna all’Università degli Studi di Padova con una tesi sui libri di poesia di Antonella Anedda e di Mario Benedetti. Alcuni suoi testi sono apparsi nell’antologia Distanze obliterate (Puntoacapo, 2021).

In copertina e in corpo: foto di Martin Parr