libro della follia Sexton

3 poesie di Anne Sexton da “Il libro della follia” (La Nave di Teseo, 2021)

Oggi 27 maggio 2021 esce per La Nave di Teseo Il libro della follia di Anne Sexton, nella traduzione di Rosaria Lo Russo. Un paio di mesi fa, agli inizi dell’esperienza di lay0ut, avevamo già pubblicato e introdotto criticamente 2 poesie inedite di Anne Sexton, sempre a cura di Lo Russo.

L’immagine in copertina è un collage di due fotografie di Lee Materazzi.


Dalla quarta di copertina del libro:

Il libro della follia è la prima traduzione integrale in italiano di The Book of Folly, che Anne Sexton diede alle stampe nel 1972. Lo stile confessionale che aveva reso celebre l’autrice, fruttandole nel 1967 il premio Pulitzer, giunge qui alla piena maturità trasformandosi nell’allegoria di un Gran Teatro psichedelico. La Signora Benestante che scrive occasionalmente versi rispettando le forme metriche lascia il posto, definitivamente e consapevolmente, al personaggio della Poetessa Martire della società benpensante e all’aspirante suicida, in un rovesciamento parodico dei valori patriarcali, accostando l’alto senso del tragico all’ironia e alla caricatura, la metafora lirica al sarcasmo più blasfemo. Nell’unico libro in cui Anne Sexton, diversamente femminista e profeta di tempi peggiori, sperimenta con la prosa, inscenando in tre “storie” l’anoressia, il femminicidio e il suicidio-della-poetessa, assistiamo al crollo delle fondamenta dei luoghi comuni e dei riti borghesi e religiosi del puritanesimo statunitense. Con una scrittura più vicina a quella delle canzoni rock che alla poesia sua contemporanea, la lingua inconfondibile della Follia di Anne Sexton ha influenzato, per stile e tematiche, non solo la poesia successiva americana e poi internazionale, ma anche la scrittura di divi del pop rock come Peter Gabriel e Kate Bush.


MOTHER AND DAUGHTER


Linda, you are leaving
your old body now.
It lies flat, an old butterfly,
all arm, all leg, all wing,
loose as an old dress.
I reach out toward it but
my fingers turn to cankers
and I am motherwarm and used,
 just as your childhood is used. 
Question you about this
and you hold up pearls. 
Question you about this
and you pass by armies. 
Question you about this –
you with your big clock going, 
its hands wider than jackstraws –
and you’ll sew up a continent.

Now that you are eighteen
I give you my booty, my spoils, 
my Mother& Co. and my ailments. 
Question you about this
and you’ll not know the answer –
the muzzle at the mouth,
the hopeful tent of oxygen,
the tubes, the pathways,
the war and the war’s vomit.

Keep on, keep on, keep on,
carrying keepsakes to the boys,
carrying powders to the boys,
carrying, my Linda, blood to
the bloodletter.

Linda, you are leaving
your body now.
You’ve picked my pocket clean
and you’ve racked up all my
poker chips and left me empty
and, as the river between us
narrows, you do calisthenics,
that womanly leggy semaphore.
Question you about this
and you will sew me a shroud
and hold up Monday’s broiler
and thumb out the chicken gut.
Question you about this
and you will see my death
drooling at these gray lips
while you, my burglar, will eat
fruit and pass the time of day.
MADRE E FIGLIA


Linda, stai lasciando
il tuo vecchio corpo ora.
Piatto, vecchia farfalla essiccata,
tutto braccia gambe ali,
si slarga come un vestito vecchio.
Allungo le mani ma
le mie dita diventano cancro.
Finito il calduccio di mamma.
Finita la tua infanzia.
Chiedo ragguagli e tu
esibisci perle.
Chiedo ragguagli e tu
passi in rassegna eserciti.
Chiedo ragguagli 
– le lancette del tuo grande orologio
avanzano più sparpagliate di bastoncini da shanghai –
a te, che stai per ricucire un continente.

Ora che hai diciotto anni
ti passo il bottino, le mie spoglie di guerra,
il mio Madre e Associati e i miei disturbi.
Chiedo ragguagli e tu
tu non mi sai rispondere –
la museruola alla bocca,
la speranzosa tenda a ossigeno,
i tubi, i percorsi,
la guerra e il vomito di guerra.

Continua, continua, continua
a portare regaletti ai ragazzi,
a portare polveri ai ragazzi,
a portare sangue, mia Linda,
a chi versa il sangue.

Linda, stai lasciando
il tuo vecchio corpo ora.
Mi hai svuotato il portafogli,
hai rastrellato tutte le mie fiches
da poker, mi hai ripulita,
e mentre il fiume fra di noi
si restringe tu fai ginnastica ritmica,
tutta gambe trasmetti segnali donneschi.
Ti chiedo ragguagli e tu
tu stai per cucirmi un sudario,
brandisci il pollo arrosto del lunedì
e lo sbudelli col pollice.
Ti chiedo ragguagli e tu
stai per vedere la mia morte
sbavare da queste labbra grigie
mentre tu, mia ladra, mangi
frutta e ammazzi il tempo.

DREAMING THE BREASTS


Mother,
strange goddess face
above my milk home,
that delicate asylum,
I ate you up.
All my need took
you down like a meal.

What you gave
I remember in a dream:
the freckled arms binding me,
the laugh somewhere over my woolly hat, 
the blood fingers tying my shoe,
the breasts hanging like two bats
and then darting at me,
bending me down.

The breasts I knew at midnight
beat like the sea in me now.
Mother, I put bees in my mouth
to keep from eating
yet it did you no good.
In the end they cut off your breasts
and milk poured from them
into the surgeon’s hand
and he embraced them.
I took them from him
and planted them.

I have put a padlock
on you, Mother, dear dead human,
so that your great bells,
those dear white ponies,
can go galloping, galloping,
wherever you are.
SOGNANDO LE TETTE


Mamma,
strana faccia di dea
sulla mia casa di latte,
mio delicato rifugio,
ti ho mangiata.
Avevo bisogno soltanto
di te come pasto.

Ciò che mi davi
lo ricordo in un sogno:
braccia lentigginose che mi avvolgevano
una risata da qualche parte sul mio berretto di lana 
dita sanguigne che mi allacciavano le scarpe
tette penzoloni come due pipistrelli
che si avventavano contro di me
buttandomi giù.

Le tette che ho conosciuto a mezzanotte
si infrangono come onde in me adesso.
Mamma, mi sono messa api in bocca
per smettere di mangiare
ma questo non ti ha fatto bene.
Alla fine ti hanno tagliato le tette
e il latte si è versato
sulle mani del chirurgo
che le strinse a sé.
Io gliele ho prese
e le ho piantate.

Ho messo un lucchetto su di te, Mamma,
caro essere umano morto,
così le tue grandi campane
questi cari bianchi pony
possono fuggire al galoppo, al galoppo,
ovunque tu sia.

KILLING THE SPRING
AMMAZZARE LA PRIMAVERA
When the cold rains kept on and killed the 
spring, it was as though a young person had 
died for no reason.
(E. Hemingway, A Moveable Feast)
Quando le piogge fredde insistenti ammazzarono la primavera, fu come se una persona giovane fosse morta senza alcun motivo.
(E. Hemingway, Festa mobile)

Spring had been bulldozed under. 
She would not, would not, would not. 
Late April, late May
and the metallic rains kept on
From my gun-metal window I watched 
how the dreadful tulips
swung on their hinges,
beaten down like pigeons.

Then I ignored spring.
I put on blinders and rode on a donkey 
in a circle, a warm circle.
I tried to ride for eternity
but I came back.
I swallowed my sour meat
but it came back.
I struck out memory with an X
but it came back.
I tied down time with a rope
but it came back.

Then
I put my head in a death bowl
and my eyes shut up like clams.
They didn’t come back.
I was declared legally blind
by my books and papers.
My eyes, those two blue gods,
would not come back.
My eyes, those sluts, those whores,
would play no more.

Next I nailed my hands
onto a pine box.
I followed the blue veins
like a neon road map.
My hands, those touchers, those bears,
would not reach out and speak.
They could no longer get in the act.
They were fastened down to oblivion.
They did not come back.
They were through with their abominable habits.
They were in training for a crucifixion.
They could not reply.

Next I took my ears,
those two cold moons,
and drowned them in the Atlantic.
They were not wearing a mask.
They were not deceived by laughter.
They were not luminous like the clock.
They sank like oiled birds.
They did not come back.
I waited with my bones on the cliff
to see if they’d float in like slick
but they did not come back.

I could not see the spring.
I could not hear the spring.
I could not touch the spring.
Once upon a time a young person
died for no reason.
I was the same.

La primavera fu sepolta da una ruspa. 
Lei non voleva, non voleva, non voleva. 
Tardo aprile, tardo maggio
e le piogge metalliche insistevano. 
Dalla finestra grigio pistola guardavo
i tulipani atterriti sgangherare 
abbattuti come piccioni.


Allora ignorai la primavera.
Mi misi i paraocchi e cavalcai un ciuco 
in cerchio, un tiepido cerchio.
Ho cercato di cavalcare in eterno
ma sono ritornata.
Ho ingoiato la mia carne acerba
ma è ritornata.
Ho messo una croce sopra alla memoria 
ma è ritornata.
Ho messo il tempo alla catena
ma è ritornato.


Allora ho infilato la testa in una ciotola di morte
e gli occhi si sono chiusi come vongole.
Non sono ritornati.
Fui dichiarata legalmente cieca
dai miei libri, dalle carte.
I miei occhi celestiali
non sono voluti ritornare.
I miei occhi, quelle due zoccole troie,
non volevano più giocare.

Allora mi sono inchiodata le mani
su una scatola di legno di pino.
Ho seguito le vene blu
come una carta stradale al neon.
Le mani, un paio di orsi, le due toccatrici,
non si dilungavano più a parlare.
Non tentavano più di mettersi in gioco.
Trafitte all’oblio,
non sono ritornate.
Dismesse le loro abominevoli abitudini,
si allenavano alla crocifissione.
Non potevano rispondere.

Allora ho preso le mie orecchie,
un paio di lune fredde,
e le ho fatte annegare nell’Atlantico.
Non portavano maschere.
Non si facevano ingannare dalle risate.
Non erano luminose come l’orologio.
Affogarono come uccelli ricoperti di petrolio.
Non sono ritornate.
Con le mie ossa addosso sulla scogliera
le ho aspettate, se gallassero a macchia d’olio.
Ma non sono ritornate.

Non ho potuto vedere la primavera.
Ascoltare la primavera.
Toccare la primavera.
C’era una volta una persona giovane
che morì senza alcun motivo.
Come me.

traduzione di Rosaria Lo Russo


Anne Sexton
ll libro della follia 
a cura di Rosaria Lo Russo
La nave di Teseo, 2021
18 euro
224 pagine

Anne Harvey Sexton (1928-1974) è stata una tra le più note poetesse e performer statunitensi del secondo Novecento. Cresciuta in una famiglia borghese e in perenne contrasto con i genitori, Sexton da giovane si è dimostrata poco incline allo studio. Nel 1947 si è sposata appena ventenne con Alfred Muller Sexton, dal quale ha avuto due figlie. Si è avvicinata alla poesia nel 1957 frequentando il “Boston Center for Adult Education”, ma decisivo è stato l’incontro con Maxine Kumin, Sylvia Plath e Robert Lowell, con cui ha condiviso l’esperienza della Confessional Poetry. Tra gli altri, ha pubblicato i libri To Bedlam and Part Way Back (1960), Live or Die (1966, con cui ha vinto il Premio Pulitzer), Love Poems (1969), The Book of Folly e Transformations (1972). Ricchissima e al culmine del successo, Sexton – già afflitta da disturbi depressivi e più volte aspirante suicida – si separa dal marito, entrando in una profonda crisi aggravata dall’abuso di alcol e psicofarmaci. Si toglie la vita nel garage della sua casa di Boston, intossicandosi col monossido di carbonio. 45 Mercy Street (1976) e Words for Dr. Y: Uncollected Poems with Three Stories (1978) sono volumi di poesia pubblicati postumi dalla figlia Linda Gray Sexton.


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