Editoriale #6 – Che la poesia è dappertutto

Così il poeta è là dove non sembra si trovi, e si trova sempre in un luogo diverso da quello in cui lo si pensa. Abita nella casa del tempo in modo singolare, vive sotto la scala, là dove tutti gli devono passare davanti, e nessuno lo nota. 

Hugo von Hofmannsthal, Der Dichter und diese Zeit 


La poesia è dappertutto, come l’aria.

Se dovessi professare il nucleo non così segreto dei miei studi, dove mi piacerebbe aiutare a dirigere lay0ut, ma dove in realtà lo vedo già andare da molto tempo, direi semplicemente questo: che la poesia è ovunque. E lo è “già da sempre,” per usare uno stilema caro al post-strutturalismo più becero quanto a quello più profondo. Il problema è capirlo. E lay0ut per me è questo: una macchina pneumatologica (Emanuele Coccia le chiama “macchine psicomorfe”) gigantesca, pur essendo ancora minuscola, che non vuole far altro che mostrare, più che dimostrare, la possibilità ubiqua del poetico. 

Credo di non fraintendere gli editoriali di coloro che circa un anno fa fondarono questo luogo-macchina virtuale chiamato lay0ut magazine, quando mi azzardo a riassumerli in questa idea. Quando Bernardo ci dirigeva verso l’intelligenza delle immagini e ci invitava alla traduzione cosmica, tra media e noi, poesia e media, poesia e mondo; quando Dimitri ci invitava a sezionare anche i morti e allo stesso tempo ad accettare la posizione debole postmoderna del “prendere tutto sul serio;” quando Noemi prospettava una mappatura errante del mondo sensibile che ci circonda, per immaginare un’abitabilità del possibile; quando Demetrio ci spingeva a “liberarci metodologicamente” e ci spiegava che chiamarsi lay0ut era il modo per darsi alla composizione, e cioè implicitamente già da sempre alla scomposizione e alla demistificazione; (e quando Martina ci mostrava tutto questo attraverso il suo occhio grafico, che mediante il digitale si fa automaticamente mano); ciò che era in questione era l’accettazione della tesi fondamentale che la poesia è dappertutto e dappertutto c’è poesia.

Ma affermare l’ubiquità della poesia allora non significa sminuirla o perdere in metodo, in precisione, e diventare i rappresentanti del peggior bacioperuginismo o cookiefortunismo. Tutt’altro. Come ha dimostrato lay0ut in un anno intero di pubblicazioni, cercare di mostrare la poeticità in tutto significa sfondare i canoni fissi e prestabiliti di una poesia ormai dichiarata incomprensibile e morente e dimostrare ai più che, per quanto possano tranquillamente ignorarlo, la loro vita rimane fondamentalmente definita e strutturata dalla poesia.

Giuseppe Penone, Impronte di corpi nell’aria, Gagosian, Athens.

Per conto mio, credo che sia così che lay0ut sia arrivato a me e io sia arrivato a lay0ut. Conoscevo Demetrio Marra da un po’ di tempo, grazie all’interesse poetico comune, ma credo che le nostre strade si siano davvero incrociate per la prima volta quando ho pubblicato un breve articolo su Pop X per La balena bianca. Allora l’obiettivo era lo stesso, anche se si agitava in me solo in maniera preliminare: mostrare che la musica di Pop X partiva da e sanciva una musicalità orizzontale, onnipresente. Su lay0ut abbiamo continuato su questa strada, approfondendo l’evento cosmico che è Pop X, da un punto di vista più musicale come da quello poetico, e credo che non smetteremo di seguire la sua onda anche oltre le sue sponde.

In questo anno di lay0ut io ho scritto apparentemente (altro che apparentemente, è tutto vero) poco. Ma la linea che ho seguito è un po’ la stessa: ho tradotto dal tedesco e dal francese poeti e pensatori che vedevo andare in questa direzione, e cioè che pensavano al mondo allo stesso tempo in maniera poetica, artistica e pneumatologica. Pneumatologia: c’è un ritorno all’aria e al respiro intorno a noi che oggi rivivifica varie discipline e mi interessa carpirne il significato e mostrarne le molteplici affascinanti applicazioni. Ed è questo che per esempio troverete sul PRIMO NUMERO CARTACEO di lay0ut, ancora in vendita sul sito dell’editore Industria e Letteratura. Nel cartaceo mi sono rivolto a TikTok per indagare come il social media cinese resti incomprensibile nella sua potenza originaria se non comprendiamo quello che esso fa con la nostra voce e il nostro respiro. Ma quello che mi piacerebbe continuare ad esplorare su lay0ut nel tempo che viene è la possibilità che il Metaverso stesso, o quello che vorremmo chiamare così, resti inabitabile se non capiamo che la poesia è ovunque come l’aria e che ci sarà bisogno di ciò che con Emanuele Coccia una volta abbiamo chiamato una nuova “Data Pneumatology.” 

Che la poesia sia dappertutto però non vuol dire che tutto sia bello e che non esista poesia brutta. Anzi, forse accettare l’ubiquità della poesia ci espone al pericolo più grande (per non citare Hölderlin e Heidegger), cioè all’azzardo che la poesia possa essere un niente, che essa possa essersi come annichilita nella sua traduzione da noi al mondo contemporaneo. Ma questo è il rischio da cui non possiamo più tirarci indietro. Ed è forse anche in questa direzione che mi interessa spingere la macchina lay0ut, attraverso uno sguardo a quello che negli Stati Uniti è stato chiamato il “pensiero nero” (black thought). Resta in Italia la necessità di tradurre tanto di tutto quello che i Black Studies negli Stati Uniti hanno prodotto e che ha un valore fondamentale anche per noi oggi in Italia. Penso in particolare alla filosofia e agli scritti critici di Fred Moten, che abbiamo già iniziato a presentare su lay0ut e che restano quasi del tutto sconosciuti al pubblico italiano. Anche in Moten uno degli argomenti centrali è quello della poeticità del tutto. Anzi, forse Moten ci offre in questo caso l’argomento più estremo, quando vuole mostrarci che la poesia è dappertutto, anche nel middle passage, anche dopo Auschwitz, ed è questa poeticità ineliminabile che lui chiama blackness. Ma su questo dovremo tornare.