poesie zachary schomburg

5 poesie violente di Zachary Schomburg (e un atto di resa del traduttore)

Non è la prima volta che i lettori italiani hanno l’opportunità di fare un passo dentro il mondo di Zachary Schomburg. È accaduto la prima volta nel 2008, quando Francesca Matteoni ha pubblicato su Nazione Indiana due poesie da The man suit (libro di esordio di Schomburg) a cura di Marco Simonelli, alle quali è seguita un’altra poesia (sempre su Nazione Indiana, sempre da The man suit) stavolta nella traduzione della stessa Francesca. Altre traduzioni, sempre a loro cura, sono apparse su Gammm, qui e qui.

Perché dunque sentiamo il bisogno di tornare a distanza di quasi 15 anni su quel libro, proponendone nuove traduzioni? Non so bene la risposta, ma credo che chiunque legga le poesie di Schomburg debba confrontarsi con un fatto di perentoria urgenza: il fastidio fisico o cerebrale di sentirsi trascinati nel suo mondo, esserne parte nostro malgrado. Quando ho scoperto la poesia di Schomburg sono stato oggetto di un’aggressione brutale: più che la (senz’altro auspicabile) violazione della mia soggettività di lettore sensibile, ho percepito lo squarcio di una ferita rimarginata che si riapriva in quell’esatto momento come se fosse la prima volta.

Se l’atto poetico di Schomburg verso di me lettore era apparso violento, non potevo dire lo stesso del gesto: irrorata da una strana grazia mai pietistica, la scrittura di Schomburg brilla di ruvida empatia, è una vera e propria introduzione ai doni nascosti (per citare il Ponge di Miliucci) iniettata con una confidenza tanto sorprendente quanto sospetta e paurosa – come quando uno che non conosci ti si avvicina, coinvolgendoti in un discorso che non ti riguarda (e l’ho visto fare per strada, specialmente ai matti: recentemente uno sulla linea 20 del bus a Firenze gridava a persone misteriosamente selezionate, guardandole negli occhi: “ho mille anni!“).

Two Ghosts, di Z. Schomburg

Dopo la lettura di The man suit, risalente a un paio di anni fa, immediatamente mi si è manifestata la volontà di tradurre nella mia lingua (che è: tradurre nella mia vita) quelle poesie, con l’aiuto di Clarissa. Era una necessità inderogabile come un appuntamento fisiologico: forse ho pensato che nessuno trascurerebbe mai di sterilizzare una ferita subito dopo essersela procurata, quale che ne sia stata la causa. Ma quando ho letto tutto d’un fiato Poetry as violence – un meraviglioso saggio narrativo di Schomburg sulla scrittura poetica come atto di violenza sulla realtà – ho capito che la mia era un’autoterapia inutile o che, più semplicemente, non avevo capito cosa stavo facendo veramente. Scrive Schomburg nel saggio:

La poesia è una manipolazione della realtà, o forse una mutilazione della realtà. Una poesia è intrinsecamente violenta. Nel momento in cui cerchiamo di ricreare qualcosa della nostra realtà – o della nostra realtà interiore – mettendo insieme le parole, abbiamo già fallito. L’atto intrinsecamente violento di scrivere una poesia è invece un modo di capire qualcosa di nuovo mettendo insieme le parole, mutilando la realtà.

Come ha precisato Chris Tonelli su Open Letters Monthly, la «violenza intrinseca» di Schomburg assomiglia più a una minaccia di violenza, come quella degli alberi-macchina nella poesia I’m not Carlos. Tonelli scrive: «I luoghi di The man suit sembrano luoghi, i suoi esseri umani sembrano esseri umani, un’emorragia sembra un’emorragia. Decontestualizzando la violenza […], Schomburg spinge i lettori ad accorgersi della risonanza tra la violenza del loro mondo e quella del suo», tramite quello che appare come un «surrealismo democratico».

Chiudo la mia breve nota con un atto di resa: cos’è la traduzione se non il tentativo di ricucire l’arto della realtà che il poeta ha mutilato con le parole, così che anche un altro lettore possa farne esperienza, essere oggetto della stessa aggressione? Se scrivere una poesia è fallire nell’intento di ricreare qualcosa della realtà, quanto sarà atroce il fallimento di un tentativo di traduzione? Tradurre una poesia per me assomiglia sempre più a un sintomo della sindrome dell’arto fantasma.

Bernardo Pacini


da The man suit (Black Ocean, 2007)

WHERE I GO AT NIGHT

I have this place
I go at night 
where I become a huge

expanding and contracting 
shapelessness, like a group 
of wild children

at the zoo. But I am silent 
and I hover over things. 
At first, it was parked

cars in the rain 
and the fruit sections 
of lonely late-night

supermarkets, but now,
almost always, 
it's sleeping Japanese

diplomats or the corpses 
of the Japanese working class. 
Except for last night,

I hovered over
an after-work get together 
thrown by Ayame.

Apparently, she has 
a small crush on Taku. 
And, who knows?

Taku's marriage 
to Kameko is rapidly 
falling apart.
DOVE VADO DI NOTTE

Ho questo posto
dove vado di notte
e divento un’enorme

cosa informe che si espande
e si contrae, come un gruppo
di bambini selvaggi

allo zoo. Ma sono silenzioso
e volteggio sulle cose.
All’inizio era macchine 

parcheggiate sotto la pioggia
e le corsie della frutta
di supermercati notturni

solitari, ma ora,
quasi sempre,
è diplomatici giapponesi

assopiti o cadaveri 
della classe operaia giapponese.
Tranne la scorsa notte,

ho volteggiato
su una serata dopolavoro
organizzata da Ayame.

A quanto pare, ha una 
cottarella per Taku.
E chissà?

Il matrimonio tra Taku
e Kameko sta rapidamente
naufragando.

I'M NOT CARLOS

There is a whole forest of tree machines outside Saginaw that have been programmed to turn on me. When I am absolutely silent, I can hear them plotting. It sounds like a gentle wind. There hasn't been a moon for 3 weeks and I think they got to it. It had been moving through their limbs like a ghost, making shadows.

Let me remind you: these are not real trees. They have learned to make other tree machines, and they have completely surrounded my ranch style home.

It is now a log cabin.

Sometimes they call me on the telephone and whisper things. Give us the man suit, Carlos. Just give us the man suit.

NON SONO CARLOS

Non lontano da Saginaw c’è un’intera foresta di alberi-macchina programmati per rivoltarsi contro di me. Quando sto in silenzio assoluto, posso sentirli tramare. Sembra un vento delicato. Non c’è stata luna per tre settimane e io penso che l’abbiano presa loro. Si è mossa attraverso i loro rami come un fantasma, facendo ombre.

Lascia che te lo ricordi: questi non sono alberi reali. Hanno imparato a fabbricare altri alberi-macchina, e hanno accerchiato il mio ranch.

Che ora è diventato una capanna di legno.

Talvolta mi telefonano e sussurrano delle cose. Dacci il costume umano, Carlos. Solo questo, dacci il costume umano.

from ☎ ☏

☎ The black telephone has been keeping a secret from you deep inside its telephone.

☏ The white telephone is an instrument of death. Do not answer the white telephone.

*

There is a black telephone. I pick it up and pretend to make an important call to the Mayor. It is what I do to get a feel for a phone. It is what I do for laughs. Mr. Mayor, have you heard about the carrot famine? Mr. Mayor, there is a man here from just outside Lake Titicaca that I think you'll be more than happy to meet. Here's what else I'll do for laughs. I'll shave my pets and apply fake tattoos that say Born to Raise Hell, or something like that. Or I'll apply fake tattoos to your mother while she is passed out in the street after a night of too much. I'll put balloons under my shirt and pretend they're breasts.
da ☎ ☏

☎ Il telefono nero ti ha tenuto nascosto un segreto nel profondo del suo telefono.

☏ Il telefono bianco è uno strumento di morte. Non rispondere al telefono bianco.

*

C’è un telefono nero. Alzo la cornetta e fingo di fare una chiamata importante al Sindaco. Giusto per farmi un’idea del telefono. Giusto per farmi due risate. Signor Sindaco, ha saputo della penuria di carote? Signor Sindaco, c’è un qui un uomo che viene dai dintorni del Lago Titicaca, credo le farebbe molto piacere incontrarlo. Ci sono altre cose che farò per farmi due risate. Toserò i miei cuccioli e gli farò tatuaggi finti con scritto Nato per scatenare l’inferno o qualcosa del genere. O farò tatuaggi finti a tua madre svenuta in strada dopo una notte che ha esagerato. Mi metterò dei palloncini sotto alla maglietta e fingerò che siano seni.

from Abraham Lincoln's Death Scene

A string of fish. A blood-splattered tuba. A golden egg. A live nativity scene. An artist painting this. Rhubarb pie. A floating bathtub. Booth's nub for a hand, blood-splattered. Lincoln's discarded leg braces, aflame. A man in a crow costume killing a woman in a dove costume. Her soul rising from the dove's beak. Actual crows carrying the soul away.
da La scena di morte di Abraham Lincoln

Una fila di pesci. Una tuba schizzata di sangue. Un uovo d’oro. Un presepe vivente. Un artista che dipinge tutto questo. Torta al rabarbaro. Una vasca galleggiante. Un pezzo di tavolo schizzato di sangue al posto della mano. I tutori per le gambe di Lincoln, dismessi, in fiamme. Un uomo col costume da corvo che uccide una donna col costume da colomba. L'anima di lei che s’innalza dal becco della colomba. Corvi veri che portano via l’anima.
Kiko is missing, di Z. Schomburg

da Scary, no scary (Black Ocean, 2009)

SCARY NO SCARY

You’ll return
to your childhood
home

after a lifetime away
to find it
abandoned. Its

red paint will be
completely weathered.

It will have
a significant westward lean.

There will be
a hole in its roof
that bats fly
out of.

The old man
hunched over
at the front door
will be prepared
to give you a tour,
but first he’ll ask
scary, or no scary?

You should say
no scary.
PAURA NON PAURA

Tornerai 
alla tua casa
d'infanzia

dopo una vita
la troverai
abbandonata. La 

vernice rossa sarà 
tutta scolorita.

Sarà 
nettamente inclinata a ovest.

Avrà
un foro sul tetto
dal quale s'involano
i pipistrelli.

Il vecchio signore
ricurvo 
sulla soglia di casa
sarà pronto
a farti fare un giro,
ma prima ti chiederà
paura o non paura? 

Tu devi dire
non paura.

traduzione di Bernardo Pacini e Clarissa Amerini


Zachary Schomburg (1977) è un poeta, romanziere e pittore nato a Omaha (Nebraska). Co-dirige la casa editrice indipendente Octopus Books. Ha pubblicato per Black Ocean i libri di poesia The Man Suit (2007), Scary, No Scary (2009), Fjords vol. 1 (2012), The Book of Joshua (2014), Pulver Maar (2019) e Fjords vol. 2 (2021), e il racconto Mammother (Featherproof Books, 2017). Vive a Portland, in Oregon con B and Y.

Immagine di copertina: Four Volumes 052320, di Z. Schomburg


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